Emmanuel Carrère – Adelphi – traduzione Lorenza Di Lella e Francesca Scala
“… è questa la rivoluzione, una delle rivoluzioni innescate dalla meditazione. Anziché considerare con astio pensieri di cui un po’ ci si vergogna, anziché cercare di sradicarli, ci si limita a osservarli senza farne un dramma. Perché esistono, perché ci sono. […] Se li consideriamo così, il loro potere e la loro capacità di nuocere calano senza che neppure ce ne rendiamo conto. Non si giudicano i propri pensieri, come non si giudica il prossimo. Bisogna prenderli per quello che sono, vederli come sono.”
Mi sono avvicinata a Yoga prendendomi il tempo di farlo, gustandomi l’attesa di vederlo lì, tra la pila dei libri da leggere, ma rimandandolo sempre ancora un poco. Non sono obiettiva quando parlo di Carrère, lo dico subito, ho un pregiudizio al contrario nei suoi confronti: lo adoro e stop. Però posso dire che Yoga ha superato le mie aspettative; Yoga è quel romanzo in cui entri in un modo ed esci in un altro. È il libro che, scusatemi il gioco di parole, ti fa meditare.
In questo romanzo, che avrebbe dovuto essere un reportage sullo yoga, ma che poi è diventato ben altro, Carrère affronta i suoi problemi, i suo difetti forse, o comunque i suoi limiti
“il mio unico, vero problema […] era un ego ingombrante, dispotico, di cui aspiravo a ridurre il potere, e la meditazione è fatta appunto per questo”
Parla del suo egocentrismo e del suo narcisismo, del suo essere bipolare e della sua reclusione
“Forse non posso guarire dal male da cui sono affetto, ma posso raccontarlo. È il mio mestiere”
ci racconta perdite importati e conoscenze che, anche restando meteore, lo sono altrettanto, ci fa entrare nel suo male di vivere e nel suo “continuare a non morire”, ci parla del suo essere un uomo che perde e cerca di ritrovare il suo equilibrio, che lotta con o per la vita (come tutti, in fondo)
“perché la vita è bella. Non solo bella, certo, ma bella.”
E lo fa con la sua solita sincerità e onestà, mettendosi a nudo
“quando penso alla letteratura, al genere di letteratura che faccio, di una sola cosa sono fortemente convinto: è il luogo in cui non si mente”
diventando, forse per la prima volta, protagonista del suo scrivere. È Emmanuel l’attore principale di Yoga; una storia che si interseca con i suoi ricordi e anche, certo, con quella di chi incontra e di chi con lui fa quella storia. Lasciandolo comunque sempre vero protagonista
“So che questi ricordi sono interessanti solo per me, Anne e i ragazzi, che noi siamo le sole quattro persone al mondo che possono ridere o piangere rievocandoli, ma pazienza, lettore, bisogna sopportare che gli autori raccontino cose di questo genere e non le taglino rileggendosi, come sarebbe ragionevole fare, perché per loro sono preziose e perché si scrive anche per metterle in salvo.”
Da Yoga, come detto, il lettore esce cambiato: forse con la voglia di meditare anche o, forse, semplicemente di guardare la vita con gli occhi di chi si mette in posizione comoda, chiude gli occhi e si fa trasportare dal flusso del respiro. Inspirare ed Espirare sono i passaggi fondamentali della meditazione: un dare e un avere. Emmanuel ci confessa da subito che per lui inspirare è più facile che espirare, ci racconta che le sue frasi iniziano sempre con un “io”, a differenza di quelle di un’amica che inizia ogni frase con il “tu”. E questo romanzo è forse il tentativo del protagonista di imparare a espirare meglio, ma anche di capire che ognuno di noi ha del materiale a disposizione ed è su quello che deve lavorare, perché
“la meditazione è smetterla di raccontarsi storie” certo è anche altro (e nel romanzo troverete questo “altro”), ma è anche questo.
Carrère dice che, secondo lui, una persona ha cinque (forse dieci) persone con le quali “attraversa la vita” e io in questi giorni sto pensando molto a quelle persone, alle mie non a quelle di Carrère…

