Massimo Bontempelli – Utopia
“La bellezza fu la sua cura d’ogni minuto e scopo d’ogni atto; la sentiva come una cosa fuori di lei, che Dio le aveva data in custodia. Davanti a quella bruciò dunque ogni altra cosa, sentimento, inquietudini, piacere di vivere, ambizioni. Questa non era ambizione, ma un culto. Infatti nessuno la biasimò, nessuno la giudicò.”
Adria è bella, Adria è ammirata da tutta Roma, dagli uomini come dalle donne; la sua bellezza illumina ogni evento, dove ognuno attende il suo arrivo chiedendosi di quale eleganza sarà vestita, quale colore indosserà.
La bellezza per Adria è un culto, e la bellezza di Adria è un culto anche per chi la circonda: per il marito che a quel culto si fa servitore, per i due figli, Tullia e Remo, che osservano la madre da una fessura del muro e che possono incontrarla solo una volta a settimana. Per Guarniero, l’unico uomo destinato ad amarla.
Tutti accettano il loro ruolo senza farsi domande, tutti sono al servizio di Adria e della sua bellezza
“Tese una mano a prendere uno specchio sul tavolino: lo specchio prediletto, da cinque anni il fedele d’ogni sera a quell’ora. Appoggiò il braccio, si girò un poco sul fianco.
E alla propria immagine fece con un sorriso l’ultimo saluto della giornata. Fu il saluto più lungo e il sorriso più splendido. Nessuno al mondo conosce quel sorriso e il volto di quell’ora e di quello sguardo.”
E quando un giorno Adria si accorge che la sua bellezza potrebbe sfiorire e realizza che ha raggiunto, forse, l’apice, decide di affrontare il resto della sua vita lontano da tutti, lontano dallo sguardo di tutti
“Il suo ingresso all’ultima dimora avvenne il giorno 22 di settembre, che fu stranamente soleggiato e tepido. I giorni innanzi erano stati grigi e pieni di brividi; forse quella mattina Roma aveva mandato ad Adria, a salutarla o a tentarla, un po’ della sua luce; ma Adria entrando sotto il piccolo arco nero non s’era voltata a guardare il sole.”
Persino dal suo
“Ma il primo giorno che fu nella casa, trasse da un astuccio il suo specchio, quello in cui per dieci anni s’era salutata ogni sera; in esso quel primo giorno per l’ultima volta si salutò; per l’ultima volta stette a guardarsi, con avidità, con crudeltà, un’ora forse. Poi mise lo specchio in una scatola, ve lo depose pianamente […] chiuse la scatola, la legò, la suggellò.”
Ovviamente questo non è il finale della storia, quello lo dovrete indagare leggendo Vita e morte di Adria e dei suoi figli, perché, come dice il titolo, questa è la storia anche loro: di Tullia e di Remo.
Bontempelli ci regala un personaggio, quello di Adria, che non può che apparirci disturbante nel suo essere distaccato da tutto, incapace di sentimenti o, comunque, capace di resistere a ogni sentimento che potrebbe “stropicciare” la sua bellezza. Adria che non fa una piega nemmeno quando deve lasciare i suoi figli, quando sa che i suoi figli vorrebbero vederla.
Ma Adria, in fondo, è a sua volta vittima, prigioniera non solo della mura della sua clausura, ma delle regole rigide che si è imposta e che ha imposto agli altri.
“La prima legge che Adria impose alla nuova vita aveva radice nelle cause della risoluzione straordinaria che l’aveva portata a chiudersi là dentro ad aspettare per qualche decennio la morte. La quale legge era, che nessuno al mondo più la avrebbe veduta.”
Prigioniera di quel tempo che continua a scorrere, nonostante tutto, nonostante tutti gli specchi siano stati banditi, nonostante nessun sguardo possa più posarsi su Ada.
È forse vita la sua?
“Ma entro i vivi il tempo scorre; non intorno ma in essi, dentro la loro sostanza; esso è, che nelle vene dei vivi fa sangue: questo muoversi del tempo nelle loro vene è la loro vita implacabile. Solo la morte vince il tempo del tutto.”
Bontempelli, il suo realismo magico, la sua letteratura che, nonostante gli anni che ci separano dalla scrittura di questo romanzo, continua a parlarci, continua a essere viva e a stregare il lettore.
Bontempelli e la sua scrittura di qualità.

