Via da qui

Alessandra Sarchi – Minimum Fax

“… mentre sente annunciare la prossima chiusura del parco. La voce dell’altoparlante le ricorda l’effetto di sospensione che si creava sulle spiagge o in certe piazze, in città, quanto irrompeva quel suono. Dopo, tutto riprendeva a scorrere come prima, come se nulla fosse accaduto, ma intanto quella voce era riuscita a imporsi e a creare il silenzio. In quello spazio in cui tutti continuano a parlare intorno a lei, i cani abbaiano, le biciclette dei bambini scampanellano mentre il giardino sta per chiudere, Monica riesce a sentire il silenzio, un silenzio assoluto, l’unico luogo dove continua ad abitare con Evelyn.”
(La tana)

Ci sono libri che disegnano delle pennellate di vita, di luoghi. Che si soffermano su dettagli di momenti che magari tu non avresti mai notato, ma che, una volta letti nelle pagine di un libro, capisci che sono proprio così. Che quelle erano le parole che stavi cercano, che meglio di così forse non si sarebbe potuto descrivere quel momento, quel luogo. Quel silenzio anche.

Alessandra Sarchi, a mio avviso, fa questo. O almeno questo è ciò che ha suscitato in me la lettura di questa piccola raccolta di racconti (troppo piccola, ne vorresti altri di racconti scritti così bene!).

E così Sarchi racconta quei luoghi che non sono sempre fisici, ma che su una fisicità si appoggiano. Racconta il perdersi

“Di poltrone, ne aveva una simile anche in America e l’aveva sempre chiamata armchair. Ma cadrega era una parola italiano o dialettale? Si usava dappertutto o solo al nord? Mentre apriva il vocabolario, appoggiata alla lavatrice dentro il gabinetto, Ines si domandò cosa ci fosse voluto per disattivare la cadrega non solo dal suo dizionario, ma perfino dalla memoria in cui sua nonna continuava a starci seduta sopra a leggere il giornale, per sostituirla con l’anonima insignificante armchair.”
(L’argine)

Ma anche il ritrovarsi, forse, perché a volte ci si prova, a volte ci si riesce e a volte no. E la vita va avanti, allontana e riavvicina, sposta nel tempo e nello spazio. Corrode e ruba, ti fa sentire nel luogo sbagliato o diversi da dove vorresti essere

“… il ricordo dei tossici che bevono birra e vino dai cartoni sui gradini di un duomo romanico, bianco come un osso asciugato dal sole. È un ricordo legato al suo paese che fa l’effetto di uno spezzone di cinema muto, in una sala dove si sta proiettando in technicolor. Lei e Monty sono dentro al technicolor.”

ma poi riesce a stupirti anche, quella stessa vita, a farti qualche regalo qua e là. Che sia il diario scritto da una nipotina ritrovata, che sia un silenzio complice o un cielo senza stelle al quale esprimere un desiderio

“«Esprimiamo un desiderio, anche se non ci sono stelle in cielo».
Sollevarono tutti la testa e non videro che buio.”

Il Via da qui che dà il titolo a questa raccolta di racconti, fa pensare subito alla fuga e, forse, in un qualche modo le protagoniste di questi racconti fuggono. Ma lo fanno in quel modo che è un poco di tutti noi, quando non ci accontentiamo, quando pensiamo di aver intrapreso un pezzo di strada non nostro, quando ci sentiamo lontani da quella casa che stiamo ancora cercando.

Lo consiglio a chi crede che un dettaglio abbia in sé già molto, a chi ama i racconti ovviamente, e a chi cerca un libro per riallacciarsi alla voglia di leggere. A chi vorrebbe essere altrove, ma sa che, in fondo, è nel luogo giusto o dove, comunque, deve essere, ora.