Robert Nathan – Atlantide – traduzione Flavia Piccinni
“Erano giorni duri per i poveri; senza casa, dormivano dove potevano: sulle scale della metropolitana, negli angoli dei sotterranei pubblici, nelle case della carità. Si fermavano dovunque si dimostrava possibile trovare per poche ore un riparo dall’inclemenza della stagione
Vecchi e giovani si accostavano gli uni agli altri in cerca di calore e stanchi, affamati, nei loro poveri stracci, stringevano a sé i loro miseri tesori. Senza cibo, sena amore, senza riparo e senza cure, tuttavia ognuno di essi cercava di riscaldare il proprio cuore, ancora per un momento di più, preoccupati com’erano che la morte si sarebbe dimostrata anche più solitaria della vita”
Robert Nathan scrive questo romanzo nel 1933 e lo ambienta nel 1929 ai tempi della Grande Depressione. I personaggi di Un’altra primavera sono poveri, sono disperati, si cibano con minestre allungate o con uova rubate, si stringono tra di loro nel letto per trovare il calore, ma anche perché alcuni di loro non solo non ha un letto, ma nemmeno una casa.
Ed è proprio un letto e un rifugio che si trovano a condividere Jared, un antiquario che ha perso tutto meno la speranza forse, e Morris un violinista che suona per strada accantonando i soldi per poter un giorno andare ad ascoltare un concerto vero. E poi ci sono i personaggi che questo due incontrerà, la bella Elizabeth costretta a vendersi per vivere, un banchiere fallito, uno spazzino che vuole imparare a suonare il violino
“Non si può indagare sui misteri del cuore umano. Mr. Sweeny, troppo timido per parlare, aveva nella sua anima la musica. Forse non era precisamente musica, poiché il solo motivo che ricordava era “God Save the King”
e sua moglie che “conduce” l’ascensore di una banca.
Nathan mi ha riportato a quei film in bianco e nero che guardavo tanti anni fa, quei film che avevano come protagonista uno James Stewart dallo sguardo triste e tenero (o almeno io ricordo lui), quei film dove c’era sempre la neve, Central Park (e Un’altra primavera si svolge per gran parte proprio in Central Park) e la bontà del cuore umano
«Se vi dicessi che ho fede nella vita, o nel diritto alla gioia, questo avrebbe ancor meno significato per voi che per me. Eppure è la sola risposta che posso darvi.»
Dove il messaggio pare essere che ci sarà sempre un giorno migliore, che non può piovere per sempre (direbbe qualcuno), che ciò che conta sono i sentimenti
«… il denaro non conta più, ormai»
«Eh?», chiese Michael stupito. «E allora cos’è che conta, amore?»
«Godersi i momenti felici, mio caro».
e che gli uomini, anche il peggiore degli uomini, alla fine ha un cuore grande “così”…
Un romanzo sull’amicizia, sul caso che fa fare incontri inaspettati e fortunati, ma anche sull’amore. Un romanzo lieve, molto lieve, da immaginare in bianco e nero (a colori, credetemi, non reggerebbe) da leggere sotto a una coperta alla luce dell’albero di Natale. Un libro capace di sciogliere anche il Grinch!

