Un giorno scriverò di questo posto

Binyavanga Wainaina – 66thand2nd – traduzione Giovanni Garbellini

“E la tribù si fece carne e dimorò in mezzo a noi.”

Quando ho incontrato Cecilia della Libreria Griot di Roma  (Un giorno scriverò di questo posto è il #librovagabondo da lei proposto) mi ha parlato della visione che si ha della letteratura africana. Mi ha detto che spesso pensiamo a quella letteratura come una narrazione che parla di migrazioni, di schiavitù, di genocidi, ma non pensiamo che ce ne sia anche una che narra la vita. Quella che, in fondo, narra ogni letteratura.

Leggendo questo romanzo io mi sono resa conto di un’altra cosa: quando penso all’Africa penso a un grande continente senza quasi fare distinzione, come se fosse possibile un’unica narrazione del continente africano. Non penso alle diversità, non penso che ogni popolo è un popolo a se stante, con  usanze, modi di essere, un quotidiano e uno scontro con politica e società differenti. Binyavanga Wainaina ci racconta molto bene che non solo ogni stato è diverso dall’altro, e che in uno stesso momento un popolo può vivere una situazione sociale e politica molto diversa da quella di un’altro; ci dice che all’interno di un popolo convivono più o meno “amorevolmente” tribù differenti, con lingue e origini differenti.

 “La lingua ufficiale del Kenya è l’inglese. Tutti i documenti ufficiali devono essere in inglese. Lo swahili non è obbligatorio a scuola, ma è la nostra lingua nazionale. Lo dice la costituzione. Perciò i notiziari sono in inglese e swahili. La maggior parte dei kenioti parla un po’ di swahili. La costituzione non cita altre lingue. Credo sia perché vogliono sradicare il tribalismo. Non ci è permesso parlare la «lingua madre» a scuola.”

Questo romanzo è un memoir ed è un romanzo di formazione anche. Vediamo l’autore bambino, lo vediamo guardare le cose con gli occhi di un bambino che nasce e cresce in una famiglia agiata. Lo seguiamo mentre cresce, lascia il Kenya per andare a studiare in Sud Africa, lo vediamo smarrirsi e cadere nell’abisso, perdere affetti, trovare amici, confrontarsi con gli altri e, soprattutto, con se stesso, con i suoi sensi di colpa e la sua impossibilità di agire in modo differente.

Lo vediamo diventare scrittore, capiamo quanto siano stati importanti per lui i romanzi, la lettura, la solitudine passata in mezzo a quei libri che sono diventati la sua salvezza

“… posso rifugiarmi altrove, dove gente piena di certezze prende l’ascensore, sale fino al tetto con le scale mobili di New York, gente che si china per baciarsi, e cavalca le parole fino al tramonto.

Alcuni di loro annaspano e si agitano, poi, a pagina 187, mentre stanno per spezzarsi sotto l’insostenibile pressione di essere sé stessi, di essere vulnerabili all’esistenza altrui, scoprono un potere. Ah! Eccoli lì che pensano di essere sbagliati, ma arriva per tutti il momento in cui il mondo si ferma, prende fiato, si gira, dà la sua approvazione e dice: Sei sempre stato tu, eri tu che tenevi tutti a galla, e non ce n’eravamo mai acccorti…”

Lo vediamo diventare famoso, tenere conferenze, viaggiare, diventare lo scrittore di riferimento che è stato. E sullo sfondo vediamo l’Africa, la politica, le dittature, i colpi di stato e i genocidi certo, ma anche il senso di famiglia e di appartenenza.

“Anche se non ho certezze, sono certo che la mia famiglia è solida come un buon romanzo, e posso rilassarmi da loro senza timore.”

Sentiamo le parole, il linguaggio come percorso, come identificazione, quel linguaggio che (come scritto nella quarta di copertina) diventa per lui
“l’unico modo per dare una struttura al mondo”

“Non ho abbastanza parole per tutto questo.
Jimmy e Ciru stanno già imparando a suonare il piano, lasciando il suono alla sua verità. Per me non è così facile. Le parole devono circondare l’esperienza, come l’aspirapolvere nuovo di mamma, devono risucchiare tutto e renderlo reale.”

Un romanzo complesso quello di Binyavanga Wainaina, complesso per chi come me conosce così poco la letteratura africana, ma una splendida scoperta che diventa un viaggio e, forse, anche un desiderio di andare oltre, di scoperta di approfondimento.

Un giorno scriverò di questo posto è il quarantaseiesimo Libro Vagabondo il consiglio di Griot di Roma