Sara Benedetti – Nottetempo
“Funzionava così tra fratelli di strada. Magari non te ne saresti andato per nessun motivo al mondo da un posto, ma se uno dei tuoi fratelli diceva basta, tutti dovevano andare via. E se uno combinava casini o si metteva nei guai, gli altri non lo mollavano. Era sempre stato così e lo sarebbe stato per sempre, era la legge della Maddalena nella buona e nella cattiva sorte.”
Leggere questo romanzo mentre ero appena rientrata da un paio di giorni passati a Genova mi ha permesso di prolungare un poco quei giorni, ma soprattutto mi ha permesso di comprendere in modo differente quei vicoli che ho passeggiato, nei quali mi sono persa un poco.
Sulla cattiva strada si svolge proprio lì, nei vicoli della Maddalena (la libreria che ho visitato qualche giorno fa si trova proprio in via della Maddalena) e ci racconta trent’anni di storia (dal 1998 al 2018) di quei fratelli di strada, uniti non dalla stessa madre o dallo stesso padre, ma solo dal fatto di appartenere ai vicoli, solo dal destino di essere nati lì. Ed è un destino comune il loro, un destino fatto di mancanze e di sopravvivenze, di droga, di lotte tra i cani e tra “vicolani”, di violenza, e di prigione. È un destino che si tramanda di generazione in generazione in una sorta di passaggio del testimone, di iniziazione a una vita che non può che portare in una direzione
“Be’, abituati. Dentro e fuori, questa è la nostra vita”
Ma è anche un destino che pare fatto dell’impossibilità di stare lontani da quei vicoli che sono certo rovina, ma che forse sono tutto quello che quei ragazzi hanno, che meritano o che pensano di meritare. I vicoli, Genova e il mare, restano, non abbandonano, come hanno fatto quei padri che se ne sono andati troppo presto: chi altrove, chi in prigione, chi non c’è mai stato.
“La colpa è di chi muore, di chi è debole, di chi non ce la fa,” disse continuando a guardare, davanti a sé, gli angoli di Genova che si lasciavano scoprire da lassù. “Tutta colpa loro,” aggiunge con la voce ferma.
Tedesco pensò a King, al padre di Pagano, al suo. Aveva ragione Pagano, come sempre. Era facile morire, in fondo era la cosa più facile.”
Poi, qualcuno dai vicoli riesce anche ad andarsene
Sara Benedetti ci racconta una storia dura, violenta, che non risparmia; ci tratteggia dei personaggi che, come lei stessa dice, ha iniziato a immaginare frequentando quei vicoli di una città che sua non è.
E a quei personaggi non puoi che voler bene, a loro riesci a perdonare anche quegli atti che ti fanno stringere lo stomaco. Quella loro urgenza nel fare e nel prendersi ciò che vogliono prendersi, come se volessero compensare una mancanza, un vuoto. Tu li guardi e li vorresti solo prendere per mano e trascinare via da lì, pur sapendo che prima o poi lì loro vorranno tornare. Perché il vicolo prima o poi ti riprende, come quella droga dalla quale non vuoi o non riesci a disintossicarti.
“Perché ti tagli, che bisogno c’è di farlo?”
Quando la lama incideva la carne era come farsi di eroina. Il sangue che usciva lento la calmava. Non doveva più fare finta, quello che c’era dentro c’era anche fuori.
Li ami quei personaggi proprio per il loro essere dannati, irrecuperabili, per quel loro essere duri, ma capaci di innamorarsi anche di amori impossibili, dannati. Capaci di innamorarsi di una prostituta, ma di essere gelosi solo di quell’amico che è diventato l’uomo della donna che popola i tuoi sogni
“Tedesco guardò Jim nella sua nuvola, poi Morango abbracciata a Lateef (faceva male ma Tedesco li cercava con lo sguardo e ci si soffermava come fosse un vaccino, perché la cosa lo ferisse sempre meno)”
E poi ci sono le donne dei vicoli. Che sono madri, fidanzate, amanti, prostitute, e spesso abbracciano insieme più di uno di questi ruoli. Sono donne che hanno sempre un loro profumo e sono quelle donne che “se di amarle ti vien la voglia basta prenderle per la mano” come cantava De Andrè. E sono belle le donne raccontate da Benedetti, lo sono nella loro disperazione, nelle loro scelte sbagliate e nel loro modo di amare, nel loro modo di camminare a testa alta, nel loro modo di essere forti o di nascondere le loro fragilità, fino a quando non si trovano accolte in un abbraccio al quale aggrapparsi o fino a quando capiscono che essere forti non serve più.
Certo questo romanzo ha dei protagonisti con dei nomi bene definiti; certo ha un protagonista che lo è più degli altri, attorno a lui ruotano le vicende, ma forse non è nemmeno così. Io il romanzo di Sara Benedetti l’ho percepito come un romanzo corale, un romanzo dove il protagonista è il gruppo, il rapporto di fratellanza, la famiglia allargata e, ovviamente, quella parte di Genova che ha voluto raccontare
“L’articolo 30 del Codice penitenziario concedeva il permesso straordinario solo in caso di decesso di parente e non c’era modo di convincere il direttore del carcere che quando morivano certe persone era peggio che se moriva un parente, perché magari tuo padre non l’avevi mai conosciuto e invece a lei, una notte, avevi messo in mano la tua vita.”
Sulla cattiva strada è il ventisettesimo Libro Vagabondo, il consiglio di Liberi tutti di La Spezia

