Sedici parole

Nava Ebrahimi – Keller editore – traduzione Angela Lorenzini

“All’inizio fu una sola. Una parola che, agile e svelta, mi assalì, come poi tutte le altre sedici, dopo un’imboscata. Non riuscivo a difendermi, le parole tornavano sempre e di nuovo a impormi il loro messaggio: qui c’è ancora un’altra lingua, la tua lingua madre, non credere che quella che parli sia davvero la tua. Finivo regolarmente nelle loro mani, ostaggio di queste parole che non avevano niente a che fare con la mia vita, con il modo in cui ogni giorno apro il lucchetto della bici, ordino da mangiare al ristorante oppure, in primavera, ripongo il vestiario invernale. Non avevano niente a che fare con la mia vita, eppure, o forse proprio per questo, ero continuamente in loro potere.”

Mona, la protagonista e voce narrante di Sedici parole, ci racconta il suo ritorno in Iran per il funerale della nonna. Ma soprattutto ci racconta il suo sentirsi in una terra di mezzo: collocata tra il paese in cui vive, la Germania, e quell’Iran, che poco conosce, dove c’è la polizia morale e dove la libertà (specialmente per le donne) è vista come un lusso

“Quando le giovani iraniane parlano della libertà, i loro occhi brillano, come se parlassero di un oggetto di marca che non si possono permettere. Come se dire azadi fosse lo stesso che dire borsetta di Louis Vuitton”

dove non essere moglie e madre a trent’anni è ancora qualcosa di incomprensibile

“Come facevo a spiegarle la paura di sentirsi legati? Già in tedesco suonava ridicola. Paura di un’eccessiva vicinanza emotiva. Uno che si dà alla fuga non appena la relazione diventa più seria. In persiano non era possibile. La lingua non era adatta a simili sottigliezze”

tra la sua ricerca di un uomo biondo, tedesco ma che come poi gli uomini biondi

“scovano qualcosa di iraniano, un certo tipo di riserbo, di pudore, un’incapacità di fare o dire apertamente certe cose. Particolari che all’inizio avevano ritenuto essere parte della mia personalità. Li levano in alto trionfanti, come avessero svelato il mio inganno. Ehi, aspetta un attimo, qui c’è qualcosa di diverso, di strano, di straniero!”

e il suo amore persiano senza futuro. E poi c’è quell’amore che si sta affacciando, al quale basterebbe forse concedergli la libertà di esserci.

Mona si perde tra ricordi e mancanza di certezze sulle sue origini: su quel padre che c’è stato sempre così poco, sul matrimonio tra i suoi genitori quando maman era poco più di una bambina, su quella nonna così presente e così determinante

“Per tutta l’estate non lo vidi neanche una volta. Quando ricomparve all’improvviso sulla porta, gli dissi che volevo il divorzio. Era stata una donna della mia serie TV americana preferita a pronunciare quella frase, con lo sguardo deciso e il mento sollevato: ‘Voglio il divorzio’. Mi aveva impressionato. Dentro di me, avevo ripetuto quella frase cento volte. E poi, quando di colpo mi trovai davanti a tuo padre, udii me stessa pronunciarla. Era come se fosse ruzzolata fuori. Alle conseguenze di questa frase non avevo pensato neanche un secondo. Maman era a fare la spesa. Con lei alle spalle, non sarei mai riuscita a dirlo”

Mona che fa la ghostwriter di un ghostwriter, Mona che si mantiene raccontando vite, ma che, in fondo, non sta vivendo la sua di vita

“«La chiami forse vita, quella che fai? Ma quand’è che ti svegli?» Mi guarda fisso negli occhi.
Sono costretta a ridere. «Maman, smettila. Chi è che chiama vita la propria vita. Tu?»”

Nava Ebrahimi sceglie di raccontarci tutto questo, la vita, la presa di coscienza di Mona, il suo passato, ciò che scopre sulle sue origini e sul suo paese, le sue domane con o senza risposta, attraverso sedici parole che non sempre sono traducibili che, a volte, perdono il significato se portate lontane dalla loro lingua.

“Il persiano non era più la mia lingua segreta”

E ci racconta, in fondo, la ricerca di un senso di appartenenza, ma a cosa, a dove? Al paese d’origine? Al paese dove si vive? A entrambi?

“«E perché non siamo andate in Francia?» Cerco di immaginare me e mia madre qui, in piedi, a parlare in francese invece che tedesco. Non funziona.”

Un libro per chi ama le parole, per chi ama conoscere i luoghi che non sono i suoi. Per chi, come me, si chiede ogni giorno dove deve fermarsi, a quale luogo appartiene.