Scimmie

Susan Minot – Playground – traduzione Bernardo Anselmi

“Solo la station wagon è grande abbastanza da contenerci tutti. Gus e Sherman si infilano rapidamente nell’ampio sedile posteriore. La nuca di Caitlin è la sola a sporgere dai sedili davanti (Caitlin è la più grande, con i suoi undici anni. Poi ci sono io, quindi Delilah, e per ultimi i maschi). Mamma sfrega a lungo i pollici sul volante tanto che i suoi guanti sono lustri e tondeggianti all’altezza delle nocche. In attesa della nostra partenza, papà fa cose, tipo controllare le grondaie. Quando finalmente ci avviamo giù per la collina, lui si volta e rientra in casa, che in quel momento è enorme, vuota e silenziosa.”
(Nascondersi)

Le scimmie del titolo sono i figli dei coniugi Gus e Rosie Vincent, sono sette, quattro femmine e tre maschi. Scimmie perché la madre quando deve chiamarli tutti fa prima così: un unico nome che li raccoglie tutti, appunto.

E loro, le scimmie, sono i protagonisti di questa storia, attraverso loro, noi lettori vediamo cosa succede, percepiamo ciò che loro percepiscono.

 

“Più tardi, quando il capanno era di nuovo avvolto dal buio, Caitlin e Sophie avevano sentito la madre e il padre mormorare qualcosa, in fondo alla stanza. «Oh, domani mattina avranno già dimenticato tutto» aveva detto lei. E invece no. Era uno di quegli eventi che loro ricordavano e che ogni tanto rievocavano, di quella volta che una volpe argentata aveva tagliato la strada alla madre e di come il suo sguardo si fosse illuminato, ma non di terrore, e di come poi il padre avesse detto che era impossibile.”
(Fiori di campo)

 

Dico storia, Scimmie in effetti  è una raccolta di racconti che ha come denominatore comune una famiglia che vive nel New England (in parte la narrazione è autobiografica), perché alla fine della lettura hai la sensazione di aver letto un romanzo: dodici anni della famiglia Vincent, tra il 1966 e il 1978.

Nove racconti che ci portano avanti negli anni e nella crescita di questi ragazzi, dovrei dire nella loro consapevolezza forse. Consapevolezza delle dinamiche familiari, del rapporto tra i loro genitori, di quella vita che non è tutta dorata, del padre che hanno percepito sempre più distante rispetto alla madre; madre  sulla quale, noi lettori, vediamo un’ombra, nonostante il suo tentativo di sorridere, di essere madre e moglie perfetta.

 “Temporeggiamo, in attesa che mamma finisca di ripiegare la biancheria, in attesa di vedere quel che farà tra un po’, perché non abbiamo nessuna intenzione di scendere al piano di sotto, dove si trova papà, senza di lei.”
(Nascondersi)

Il tutto parte da Nascondersi (uno dei miei racconti preferiti), il primo racconto narrato in prima persona da una delle sorelle Vincent. Ed è la voce di una bambina che vede e non capisce tutto, ovviamente; ma a noi lettori bastano quei dettagli per andare un po’ oltre, per iniziare a indovinare di più.

“Ogni volta che tornavano dall’università, o dopo le vacanze estive, vagavano per la casa. Lo facevano tutti, in solitudine, da una stanza all’altra, riprendendo dimestichezza con gli oggetti più familiari. Toccavano la piccola Madonna in pietra, prendevano in mano il fermacarte a forma di farfalla. Nell’astuccio d’argento delle sigarette ritrovavano una biglia o un bottone. Provavano ad azionare l’accendino in pietra di giada che puzzava di gas, senza aspettarsi che funzionasse, cosa che infatti non succedeva. Ma c’era sempre la sensazione che potesse succedere. Le cose potevano andare in modo diverso. Si poteva ritrovare quel che si era smarrito.”
(Il blues delle feste)

Gli altri racconti o capitoli (fate voi) sono in terza persona, ma lo sguardo è sempre quello di chi non ci racconta tutto, che fa immaginare, indovinare cosa un gesto, una parola, un silenzio possono voler dire.

“Quello non era più un silenzio tranquillo.
A volte, nelle serate buie e immobili, si sfidavano a gare di lancio dal piccolo molo. Gettavano un sasso nello stretto e aspettavano di sentirne il rumore quando questo atterrava nell’acqua. A volte l’oscurità inghiottiva letteralmente il sasso e loro restavano in attesa del rumore, che però non arrivava mai. Era come se il sasso fosse finito in un’oscurità ancora più profonda, e fosse entrato in un’altra dimensione dove gli oggetti continuavano a precipitare all’infinito.”

Di Scimmie mi aveva parlato, durante una diretta a tema amore nei libri, Raffaella della libreria Pagine di Piacenza, perché questo è un libro che parla di amore tra fratelli e sorelle, di solidarietà e presenza, di appartenenza forse e anche di amore verso quella madre che c’è anche quando non c’è; in quell’occasione Raffaella disse anche che questo libro racconta due storie, quella scritta e quella fatta di silenzi e credo che questo sia il modo migliore di raccontare Scimmie.