Jane Urquhart – Nutrimenti – traduzione Nicola Manuppelli
“Eppure, ogni estate si rinnovava il nostro stupore per quello che finimmo per chiamare “l’albero delle farfalle”. Nei mesi intermedi, dominati dall’inverno, preoccupati dalla scuola e da altre attività ci dimenticavamo di quello spettacolo, e così riscoprirlo era un regalo meraviglioso che ci attendeva alla fine della stagione: un albero autunnale simile a un roveto ardente, un cedro divampante di ali. Guardando in fondo alla file di piante, la sensazione era come se le foglie di quel singolo albero fossero divenute arancioni durante la notte, mentre il fogliame circostante aveva mantenuto il proprio verde estivo”
Liz si ritrova sola in quella casa che è stata casa delle vacanze dell’infanzia. Là dove, dalla città, accompagnata dalla madre, tornava ogni anno per ricongiungersi con cugini e zii, per giocare e fare bagni in quel lago che divide il Canada (l’Ontario) dagli Stati Uniti. Quella casa che è anche fattoria, frutteto, dove ogni anno i lavoratori messicani tornavano per la stagione della raccolta.
Ora tutti, per una ragione o per un’altra, se ne sono andati e Liz si ritrova a rivivere ciò che è successo in quelle estati lontane quando era bimba ingenua e spensierata e dopo, quando gli eventi sono precipitati, portando più di un lutto, una scomparsa, rabbia e dolore. Le conseguenze di ogni singolo gesto
“Quanto è fragile ogni vita. Tosiamo un prato e uccidiamo migliaia di farfalle. Il chiasso del tosaerba, il rumore di un pugno che colpisce un corpo, una bomba americana che cade su una città del Medio Oriente – forse fra queste cose l’unica differenza è la dimensione in scala.”
Liz ci racconta uno zio carismatico che, a sua volta, torna indietro nel tempo e racconta storie di avi e di personaggi che escono da libri
“… mio zio amava parlare della divisione in due rami dei guardiani di fari della nostra famiglia, quelli che si erano occupati delle ‘lanterne’ d’Irlanda, e poi, dalla fine del diciannovesimo secolo, i Butler americani, come li chiamava lui, a dispetto del fatto che il loro esponente principale fosse alla fine emigrato in Canada e si fosse stabilito non molto lontano dalla fattoria dove queste storie venivano raccontate”
ma ci parlerà anche di un primo amore e di un amore difficile da comprendere, ci parlerà di perdite e di mancanze che forse solo raccontandole possono ferire di meno. Ci racconterà la storia della sua famiglia, attraverso il filtro della memoria, attraverso i luoghi e gli oggetti che quella memoria trattengono o sprigionano.
“Ora credo che di rado la memoria sia amica di qualcuno. Sempre accompagnati dalla transitorietà e dalla perdita, spesso dall’angoscia, la sola idea che gli anziani possano trascorrere le proprie giornate avvolti dal conforto di piacevoli viaggi mentali nel passato è semplicemente assurda.”
E sarà un racconto fatto a un interlocutore misterioso, narrato con la morbidezza di una scrittura evocativa, a tratti poetica, dove le farfalle monarca diventano sempre termine di paragone o di misura
“… non ho potuto fare a meno di pensare alle monarca più deboli che, sfinite dallo sforzo di attraversare il lago, vengono risucchiate giù dal cielo fra le onde. Non ho potuto fare a meno di pensare anche a Mandy. A Mandy e a suo padre.”
dove i luoghi, anzi il luogo, è personaggio principale non solo sfondo. Dove l’alternarsi delle stagioni detta il ritmo delle migrazioni delle farfalle, ma anche delle partenze e dei ritorni,
“Adesso trascorro il tempo a fare avanti e indietro fra il campo e il laboratorio, fra i vivi e i morti. Tutto è a rischio, non solo la Danaus plexippus arancione e nera della famiglia dei Lepidotteri, ma ogni cosa. I vecchi fienili – quelli non bruciati o non abbattuti – cedono e cadono a pezzi. Le piccole chiese bianche sono quasi vuote la domenica, se non sono già state vendute e trasformate in caffè o negozi d’antiquariato. Tutti i miei avi e le loro case riposano negli album di famiglia, chiusi e non visti da nessuno E né la mia adorata cugina né il mio enigmatico e tormentato zio faranno mai ritorno”
dove la solitudine di chi resta è tangibile, come la consapevolezza di non avere eredi a cui poter tramandare la storia di famiglia
“Adesso che vivo qui, mi mancano i bambini che noi tutti eravamo prima che ogni cosa andasse in pezzi, e mi mancano i bambini che avrebbero dovuto sostituirci ma non lo hanno fatto.”

