Ruta Tannenbaum

Miljenko Jergović – Nutrimenti edizioni – traduzione Ljiljana Avirović

“Poi, sulle prime pagine dei giornali, apparve la notizia che la Germania aveva compiuto l’annessione, e la faccia ottusa di Seyss-Inquart fu abbellita dalla notizia della definitiva caduta della città di Vienna. Abraham Singer era seduto accanto alla finestra a guardare gli enormi alberi dei tempi di Maria Teresa che non avevano ancora perso le foglie, e pensava che nessuno avrebbe mai potuto provare quella sensazione, né annotare nei libri di storia il fatto che lui stava seduto accanto alla finestra a guardare gli alberi dei tempi di Maria Teresa mentre passo dopo passo, annessione dopo annessione, la morte gli si avvicinava.
Questa morte diventerà moderna proprio come il cappello di Panama. I vecchi ebrei saranno ammazzati, i giovani cacciati in Africa e la nipote di Abraham avrà l’occasione di diventare una vera tedesca, perché non ricorderà mai di essere stata qualcos’altro.”

Miljenko Jergovic nelle note finali afferma che la colonna sonora di questo romanzo è composta da alcune sinfonie di Sostakovic. Io leggendolo ho sentito forte la musica di Bregovic: un misto di suoni e di voci, una miriade di personaggi che in qualche modo entrano in contatto con la vita di Ruta Tannenbaum e, attraverso la voce narrante, ci raccontano la loro storia. E a queste voci, a queste storie, si aggiungono le leggende, le storie inventate (splendido il passaggio in cui uno dei personaggi principali osserva passare i treni e crea per quei viaggiatori, che ormai ha imparato a “conoscere”, delle vite)

“Poi conosceva almeno altri venti viaggiatori diversi, ma non così bene da poter dare loro nomi e soprannomi. Quando pensava a loro pensava meno a sé stesso e si sentiva bene.”

e la Storia, quella con la S maiuscola, quella tragica fatta di sangue e fasce gialle sul braccio, fatta dell’attesa di una Guerra che sta arrivando e che odora già di morte

“Era tranquillo, perché erano giunte le brutte notizie che temeva da tanto tempo. Abraham Singer non avrebbe più dovuto tormentare il proprio esile corpo con la speranza che tutto questo non sarebbe successo. La cosa peggiore per un uomo ragionevole è quando comincia a sperare in qualcosa di impossibile o altamente improbabile. Queste speranze lo rendono esausto e molto presto si trasformano in un’autoumiliazione. Ma quando infine il peggio accade, e non c’è più da sperare in nulla, allora proverà solo sollievo.”

Questo  è un romanzo difficile da raccontare, un romanzo che non ha solo una trama, ma una crogiolo di vite che partono forse da un incontro o da un contatto con Ruta Tannenbaum, personaggio che diventa sì titolo e omaggio a un’attrice bambina dai grandi occhi, ma che, in fondo, non diventa mai la vera protagonista, rimanendo quasi spettatrice silente e pensierosa di ciò che accade, “oggetto” da proteggere dagli eventi e dagli incidenti della vita, da amare e ammirare. E che protagonista lo diventa forse solo in quello splendido finale capace di regalare un’emozione forte e, quasi sicuramente, una lacrima.

Protagonista è soprattutto lo stile di chi ci racconta questo romanzo: ricco, con frasi che si ripetono, quasi a sottolineare una sorta di tradizione, dove ogni incontro porta a cambiare strada e a perdersi un poco per poi tornare indietro e riprendere i fili della storia. E protagonista è Zagabria

“Zagrabria, dove tutti conoscono tutti ma si salutano con un cenno solo i nemici acerrimi o i veri amici, agli altri si passa accanto in silenzio, così come in silenzio si passa accanto alle vetrine o alle facciate, perché tale è il tacito accordo tra gli zagabresi ed è pure un modo per creare l’illusione sulla grandezza di una città in cui ci sono più persone che non si salutano, come quella vera, grande città che è Vienna.”