Riti notturni

Colin Wilson – Carbonio editore – traduzione Nicola Manuppelli

“Volevo dire che la nostra esperienza è fatta di frammenti. Noi viviamo per lo più nel presente. Se fossimo sinceri ammetteremmo che la vita non è che una serie di momenti legati l’uno all’altro dal nostro bisogno di restare in vita, per sconfiggere la noia. La nostra esperienza è costituita da frammenti. E l’uomo di affari di Surbiton li rimette insieme credendo che lo scopo principale della vita sia comprarsi un’auto più grande. L’uomo politico lo fa identificando i propri obiettivi con quelli del partito. L’uomo religioso accettando la guida della sua Chiesa o della sua Bibbia. Sono tipi diversi di colla, ma hanno tutto lo stesso proposito… di imporre un disegno, un significato. Ma è tutta una falsificazione. Se fossimo onesti, ammetteremmo che la vita non ha senso.”

E forse proprio cercando il senso della vita, o cercando qualcosa che alla sua vita dia un senso o, semplicemente, qualcosa che lo allontani dalla noia

“Perché dovrei cercare un lavoro? D’accordo, mi annoio. E questo cosa dimostrerebbe? Che non so come usare il tempo. E tu cosa mi proponi? Di sprecarlo lavorando. Non è logico.”

il protagonista vaga per le strade di Londra. “Faccio cose, vedo gente” direbbe il nostro Nanni, perché Gerard Sorme, in fondo, questo fa. Sta scrivendo un libro, è malato di sesso anche, beve tè e alcol, vive in camere basiche dividendo la cucina con altri affittuari. Conversa parecchio e le conversazioni che Wilson fa entrare in questo romanzo sono, decisamente, di alto livello. Intellettuali, mi viene da definirle: in Riti notturni nessuno parla per banalità, ogni dialogo è una piccola chicca.

E quasi mi stavo dimenticando di dire che, sullo sfondo (ma non troppo) c’è un serial killer che sta ammazzando donne in modo truculento evocando una sorta di Jack lo Squartatore

“   Tutto ciò che dà un senso di realtà è interessante. In qualche modo, non avevo mai realizzato che questi omicidi fossero realmente accaduti. Perché pensi che qualcuno faccia qualcosa del genere, Bill?”
   Dipende. Dipende da chi è. Se è un professore universitario, le ragioni saranno diverse rispetto a quelle di un marinaio ubriaco o di un’adolescente malato di sesso…
  Chiunque sia, disse Sorme, in questo momento si trova d qualche parte a Londra… e ha amici che probabilmente non nutrono il minimo sospetto…”

e c’è, forse, anche una domanda che a un certo punto Gerard fa a uno degli investigatori, un tedesco che è stato al servizio di Hitler e che, quindi, non ha proprio la coscienza così pulita. Ma la domanda non ve la dico, potete immaginarla e comunque dovrete cercarla tra le oltre quattrocento pagine di questo romanzo (il primo della trilogia di Gerard Sorme).

Riti notturni ha una vena di politicamente non corretto ed è un romanzo impegnativo (di certo non un romanzo da leggere pensando di trovarci l’indagine per svelare un serial killer), ma è una di quelle letture che, alla fine, ti lascia la sensazione di aver fatto un passo in più nel tuo percorso di lettore. Di aver passeggiato o percorso in bicicletta le strade di una Londra degli anni Cinquanta, di essere entrato in pub e locali ambigui, di aver sentito il freddo che richiede di essere riscaldato da una monetina che mette in azione una stufa. E di aver conosciuto personaggi perfetti nella loro costruzione: monaci e dandy, testimoni di Geova e vecchi pazzi, tassisti fedeli e giornalisti che rincorrono una notizia. Artisti e sadici. Insomma di tutto un po’…

“Voglio mettere in evidenza il moderno senso di alienazione, disse dopo qualche istante. La sensazione che ha l’uomo di essere stato spodestato. Di essere stato lasciato al di fuori. Di non ricevere abbastanza dalla vita”