Gudrún Eva Mínervudóttir – Iperborea – traduzione Silvia Cosimini
“Parlava un islandese impeccabile. Solo la pronuncia fin troppo scandita rivelava la sua origine straniera.
«E tu?» gli chiesi. «Come ti chiami?»
«Ah, io… come pronunci una parola che si scrive a-u-s-t-i-n?»
«Ostin?» dissi.
«Ecco, mi chiamo così, ma mi crea sempre qualche problema perché gli islandesi pensano che mi chiami Ástin.»
Ástin, «amore». Indicò una targhetta fissata al taschino con una spilla. C’era scritto: AUSTIN GRAHAM, SENIOR.
«Austin», dissi. «Come la città. Vieni da là?»
«No. Ma vengo dal Texas, in effetti.»”
Parto da questo dialogo perché è da qui che nasce il titolo originale del romanzo di Gudrún Eva Mínervudóttir: Ástin Texas. Parto da qui perché a me questo “gioco” sulla parola amore è piaciuto molto ed è forse il passaggio che ho trovato più originale e carino dell’intera opera. Quindi non ho capito la decisione di Iperborea di volerlo modificare in questo modo. Forse il titolo perfetto (per quanto scontato) avrebbe potuto essere Amore. E stop.
Perché i cinque racconti contenuti in questo libro hanno sì per protagoniste cinque donne, di età diversa e in situazioni differenti, ma forse, ancora di più, hanno per protagonista quell’amore del titolo o il suo vacillare davanti al desiderio dell’altro, davanti all’attrazione dell’ignoto, o quell’amore che forse amore non è. Da quello madre/figlia a quello di una coppia minacciata dall’attrazione di lei verso un altro, a quello di una donna che, finalmente, dopo due partner violenti che le hanno lasciato due figli, trova pace in una nuova relazione, all’attrazione di una donna verso un missionario molto giovane (il famoso Ástin), all’amicizia, all’amore verso la città (ecco forse il motivo del titolo…) che la protagonista riesce a vedere quando per lei è, forse, troppo tardi.
La caducità di alcuni amori o forse di ogni amore
“Mi distesi al suo fianco. I due commessi erano lì accanto e nell’aria c’era una specie di allegria contagiosa. Non potevano sapere che la nostra relazione era – moto probabilmente – destinata a fallire. Come quasi tutte le relazioni. O forse in fono lo sapevano – in fondo tutti sanno tutto.”
Sono storie quotidiane quelle che ci racconta Gudrún Eva Mínervudóttir, storie contemporanee che mettono, appunto, al centro la donna. Storie semplici di relazioni e legami. Perché è di questo che sono fatte le vite, di legami, di scambi, di momenti in cui ci si perde dietro a qualcosa che pare brillare un poco di più…
Del tempo che passa
“Ai primi di giugno, quando i tarassachi diventano soffioni, mi sento sempre molto triste. La trovo una trasformazione che fa troppo autunno, per l’inizio dell’estate, e la prendo sul personale – come se fossi io a ingrigire prima del tempo. Quelle soffici nuvolette di semi mi fanno pensare alle generazioni passate. La mamma, la nonna, la bisnonna […]
Da bambina e da adolescente, quando ogni anno l’arrivo dei soffioni mi coglieva di sorpresa, provavo un dolore sproporzionato. Un’estate appena iniziata non dovrebbe già mostrare i segni della fine. Stefan sostiene che un inizio non sia altro che una fine che sta maturando. Il che ovviamente è vero. Ma a volte penso che il finale potrebbe anche restare sospeso un po’ più a lungo.”
Reykjavik, amore è un libro che parla di cambiamento, oltre che di amore appunto (quanto volte ho ripetuto questa parola?), di vite forse già definite (per quanto una vita possa esserlo), ma che inciampano in un momento, in un incontro, in un qualcosa che fa cambiare direzione o punto di vista.
Detto questo Minervudottir non mi ha convinta fino in fondo (a mio avviso è migliore il suo precedente Metodi per sopravvivere) e a chi sta partendo per l’Islanda e vuole leggere uno scrittore islandese, io continuo e continuerò a consigliare Stefansson e la sua poesia…
Ps: entrambi i libri di Gudrún Eva Mínervudóttir pubblicati da Iperborea hanno le copertine più belle di sempre. Ma questa è un’altra storia…

