Nives

Sacha Naspini – e/o edizioni

“Si accorse presto che nella solitudine la vita di campagna cambiava tanto. Le ore diventavano badilate sui denti al rallentatore; le medesime faccende prendevano una piega anomala. Nives accettò fin da subito questo fatto con asprezza: “Che, non mi basto?” si diceva. Scoprirlo in tarda età era una mazzata che prendeva malvolentieri. Ogni mansione si appesantiva di quell’accento: il fatto non condiviso andava perso.”

Nives è vedova. Nives rimane vedova nella prima pagina del romanzo. Nives si ritrova ad affrontare la solitudine trovando conforto nella compagnia di una gallina.

Poi una sera è costretta a fare una telefonata. Una telefonata d’emergenza che diventerà una lunga chiacchierata sul passato, un passato che si interseca al presente o che, comunque, sul presente si ripercuote. Sui ricordi e sui rimpianti. Sugli sbagli, forse,e su ciò che si è perso o si pensa di non aver avuto

«E ci siamo persi».
«Anche peggio».
«Ci siamo buttati via».

Sulla vita che va avanti, appunto, nonostante tutto. Nonostante sia mancato il coraggio di tentare, nonostante un amore non abbia avuto la possibilità di essere, e nonostante si sia preferito mantenere un segreto

«Con il tempo ci siamo abituati».
«Il tempo fa così: ingoia le cose».

Un romanzo breve che potrebbe essere un piece teatrale (io mentre leggevo vedevo chiara la scenografia), un lungo dialogo, perfetto nel suo sali e scendi di toni, nel suo rendere partecipe il lettore di quelle rivelazioni che gli stessi protagonisti apprendono, battuta dopo battuta, frecciata dopo frecciata. Una discussione che ha i toni di chi ferisce e di chi si deve difendere dall’attacco.

La bravura di Naspini nel raccontare le persone, i loro vizi e le loro paura. La bravura di Naspini di farci sentire quanto la solitudine possa celarsi dietro a un segreto tenuto per troppo tempo in silenzio, dietro a quei pensieri che non si possono condividere con nessuno.