Anna Nerkagi – Utopia – traduzione Nadia Cicognini
“L’uomo lavorava e non faceva che pensare che in fondo per l’uomo nascere, sposarsi e perfino invecchiare è poca cosa, che ciò che conta davvero è diventare più saggi, passare attraverso il sudore e le lacrime per scoprire il vero valore della vita e della felicità.E le renne, con cui la gente lo ripagava del suo lavoro, gli erano diventate dieci volte più care, più vicine. Soprattutto, a poco a poco gli si rivelò una verità che non tutti comprendono: che una renna è l’anima della vita dei nenec, il suo fondamento”
Muschio bianco è una di quelle letture che non sono destinate a scivolarti addosso per poi andarsene, per poi essere dimenticate dopo poche settimane o qualche mese. Muschio bianco ha il tocco di qualcosa che resta, di qualcosa che può diventare classico, universale, pur essendo il racconto di un popolo fatto di pochi, di un popolo lontano, dimenticato. Sconosciuto.
Nerkagi ci racconta un’attesa fatta di lentezze e di amore; un’attesa fatta di rassegnazione e di speranza, di sacrificio anche. L’attesa di una figlia per un padre, della donna amata per un ragazzo
“Da quando Ilne era partita, erano trascorsi non sette giorni, ma sette lunghi anni e per sette volte le speranze più pure e luminose erano morte in lui. A ogni primavera queste speranze si ridestavano e poi col giungere dell’autunno, quando le foglie sugli alberi e sui cespugli ingiallivano di vecchiaia, il suo dolore si acquietava. Ma era più forte di lui: non riusciva a smettere di credere che prima o poi sarebbe arrivato un altro autunno in cui, a dispetto della natura, le foglie non sarebbero appassite, né morte, e la ragazza che gli aveva tolto il cuore e non gliel’aveva più restituito sarebbe tornata”
Un ragazzo che ora deve sposarsi, perché così deve essere, perché nella sua vita e nel suo čum una donna deve accendere il fuoco
«Un uomo non può vivere da solo. Hai bisogno di una donna. Non importa che sia bella, purché non abbia le braccia e le gambe troppo storte e sappia accendere il fuoco, far asciugare i kisy e rammendare un buco in un guanto. Se lo sa fare, puoi convivere con lei.»
Nerkagi, certo,ci racconta un amore che non vuole tradire un ricordo, che non vuole arrendersi all’evidenza di un non ritorno, ma ci parla, soprattutto, di un popolo e delle sue tradizioni, dell’orgoglio di quel popolo e del suo essere comunità anche parlando poco, ma dividendo il calore del fuoco e quell’aiuto che forse non si chiede, ma si sa sempre offrire. Ci parla di alberi e renne e di quella natura che è famiglia, quotidianità: colei che detta il ritmo del tempo che passa e delle andate e dei ritorni.
“Vecchi alberi e vecchi uomini. Di tutte le creature viventi sulla Terra i più simili all’essere umano sono i vecchi alberi. Da un lato la loro spessa corteccia è arsa e indorata dal sole di mezzogiorno, dall’altro cosparsa di profonde venature, calda e ruvida e fitta di muschio, di erbe e piccoli fiori bizzarri”
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Di vecchiaia e di solitudine. Di figli che tradiscono e pretendono, che se ne sono andati rinnegando la tradizione di quel popolo dal quale hanno avuto origine
“Mettevano al mondo dei figli, li crescevano e, se non vivevano come avrebbero voluto, li costringevano a farlo. Le figlie venivano mandate in altre terre, i figli si allontanavano e vivevano autonomamente, ma nessuno aveva mai rinnegato il proprio sangue e la propria carne. I figli perdonavano i padri, i padri perdonavano ai figli le innocue offese, le spacconate da ubriachi, perfino le risse, poi ricominciavano a vivere di nuovo insieme”
Nerkagi omaggia il suo popolo in un racconto che ci porta nella tundra russa, dove il mondo si è fermato un poco e dove l’importanza è data da ciò che, forse, realmente conta. Dove la tradizione è l’eredità più grande da passare di padre in figlio e il rispetto per la natura non è mai messo in dubbio
“Da tempi immemorabili i nenec detestavano i cacciatori col fucile. Un cacciatore che sparava a una preda doveva essere o debole di gambe e braccia o povero di spirito, e se non la inseguiva fino a raggiungerla per catturarla con la sua astuzia non era degno di alcuna soddisfazione. Un simile cacciatore non meritava che gli si desse la mano, né che lo si invitasse a tavola, e si sputava al suo passaggio. Un lupo godeva di maggior rispetto di un simile assassino”
Nerkagi, con Muschio bianco, ci fa un vero e proprio regalo

