Minicosmi – una mappa sentimentale

Odette Copat – Biblioteca dell’immagine

“Non siamo preparati ai terremoti della nostra vita, ma forse ancor meno siamo preparati a quel che lentamente segue. Al lungo periodo di assestamento, spoglio di epica e di retorica. Uno spazio nudo che lascia intravedere aspetti della morte diversamente perturbanti, più sottili, non meno pervasivi.”


Nella sua seconda opera Odette Copat ci racconta la ricostruzione, soffermandosi su quel dopo, che non è né crollo, né rinascita, ma sta lì nel mezzo e ci rende fragili, ma anche forti, capaci di decidere che in qualche modo dobbiamo pur sopravvivere e che tutto sta nel capire come. Che dipende da noi.

E Copat ce lo racconta a modo suo, in quel modo che abbiamo già imparato a conoscere nel suo Manuale malinconico e negli articoli del suo blog, lo fa mescolando sapientemente i sorrisi con gli occhi luccicanti, la banalità di ogni giorno con quei piccoli dettagli della vita che davvero fanno la differenza se guardati nel modo giusto.
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Codette, la protagonista di Minicosmi ha perso, se non tutto, molto: amore (Zeta l’ha lasciata), lavoro, fiducia e forse anche la speranza. Si aggira per i luoghi della provincia pordenonese indossando un pigiama, delle Dr Martens e un trench stile Colombo. È alla ricerca di qualcosa, di un lavoro, di un appiglio, di un senso forse. Del modo per potersi ricostruire

“Fai il meglio che puoi combinando ciò che hai, mi esorto.
Parti da ciò che possiedi.”

E ciò che possiede Codette sono i luoghi che frequenta: un cantiere, un cimitero, un ristorante giapponese. Sono le vie di quella provincia che l’autrice conosce molto bene, sono un vivaio ma anche un bar. E, attraversando quei luoghi, Codette conosce e ci presenta personaggi che diventano abitudine, amicizia, pezzi importanti della storia e della sua vita. Personaggi che alternano l’italiano a quel dialetto che è lingua

“L’italiano improvviso del Vecchio mi fa sussultare. Mi procura lo stesso allarme di quando qualcuno che abitualmente ci chiama con un nomignolo o un vezzeggiativo si rivolge a noi col nostro nome proprio.
Codette, mi aveva chiamato Zeta quel giorno. Non amore, non tesoro, nemmeno Ci, come ogni tanto mi abbreviava.
Da lì niente era stato più come prima”

Ma anche una lingua tutta nuova e creata dall’autrice stessa. Come quelle parole che Copat inventa, lei che (chi la legge lo sa) con le parole “gioca” ogni giorno.

“Una domenica io e Zeta abbiamo cercato tutti i nomi del tarassaco, anche detto soffione, piscialletto, cicoria matta, dente di cane, radicione, ingrassa porci, barba del Signore, grugno di porco, radicio del can, brusaoci, trastullo di Eolo, pugno di mosche e ficcanarìci. Gli ultimi tre inventati da me.”

Minicosmi alterna la prosa alla poesia, la storia inventata al racconto di vite vere, di cadute vere, di ricostruzioni. Quasi a dirci che, in fondo, non importa quanto hai perso, non importa quanto ti senti finita, delusa, fallita,

“… il dolore non abbandona i nostri corpi nello stesso modo. Per qualcuno è un’eruzione violenta, per altri un improvviso appetito, una reazione allergica, o lo scatto minimo e silenzioso di una palpebra che si chiude. Il clic d’un interruttore. Di un pulsante nascosto da qualche parte nel petto o dentro la testa. Smettere di amarsi e di patire può essere una questione di interruttori. Acceso. Spento.
Per altri ancora, il dolore si prosciuga lentamente, senza che sia possibile individuare una vera cesura, un punto di svolta. Soltanto un lento evaporare”

alla fine un modo di ripartire si trova sempre. Credici.

E una delle ricostruzioni raccontate da Copat è proprio la mia.

“Essere girovaghi è un concetto che va oltre la distanza percorsa. Si può esserlo anche nella propria città. Lo si è ogni volta che si osserva dal di fuori qualcosa – giardini, balconi, verande, sedie in vimini, ingressi, tende, caffè, cancelli in ferro, alberi da frutto, piante aromatiche, luci gialle notturne, televisori accesi dietro finestre spente – qualcosa d’altri”

E per questo “mio” capitolo non posso che ringraziare Odette Copat per avermi ascoltata e trasformata in un personaggio più bello di quello che sono in realtà
(nel “mio” capitolo cito anche il mitico @micmarziani e il suo Il suono della solitudine edito da @ediciclo )

Odette Copat fa un passo avanti rispetto al suo precedente Manuale Malincomico, un passo avanti verso il “romanzo”, quel romanzo che ora aspettiamo di leggere.