Lorenzo Licalzi – Bur
“Prima dei trent’anni non capita mai, ma a quaranta cominci a pensare ‘quando ero giovane a trenta’, a cinquanta lo stesso, a sessanta idem: pensi ‘quanto ero giovane a cinquant’anni’, e pensi ancora: ‘E quasi mi sembra di essere vecchio’. E poi a settanta ti sembra che a sessant’anni eri un bambino, e solo a ottanta capisci che invece vecchio lo sei soltanto ora, ma la cosa strana è che non vorresti tornare ad avere vent’anni, ma sette, non hai nostalgia per la giovinezza ma per l’infanzia.”
Pietro Rinaldi ha ottant’anni, ha una figlia e un nipote, è vedovo ed (o è stato) uno scrittore, ma con il suo ultimo romanzo ha mandato a quel paese un po’ tutte quelle categorie che non riesce a sopportare. E sono parecchie: a Pietro Rinaldi sono poche le persone o gli atteggiamenti che sopporta e noi lo incontriamo nel momento in cui è anche stanco di vivere.
“La morte, come del resto la vita, esige una sua dignità. Tra l’altro, per trovare un albero adatto all’impiccagione, robusto e riservato (diciamo dignitoso), dovrei prendere l’autobus, e prendere l’autobus per andare a suicidarmi è una cosa ancora più deprimente della stessa depressione che ti porta al suicidio.”
Ma nella vita di Pietro irrompe quel nipote che non aveva mai considerato molto e questo lo costringe a rivedere o a guardare in modo differente quella che è stata la sua vita: passata, presente e (chissà) futura.
“Sono egoista. Come tutti, del resto. L’egoismo vince su tutto, perde soltanto contro l’amore, l’unica forza in grado di annichilirlo; ma di amore non ce n’è a sufficienza, mentre l’egoismo è molto più diffuso e radicato in noi. È l’egoismo il motore del mondo, per questo va avanti male; in ogni caso, se non ci fosse ci saremmo già estinti.”
L’ultima estate di settembre è un libro on the road, un libro praticabile in scioltezza, quel libro che potresti consigliare come lettura da ombrellone (a chi sotto l’ombrellone legge qualcosa di diverso dagli altri periodi dell’anno) o un libro da consigliare a chi legge poco, legge leggero e ha bisogno di qualcosa di confortante.
L’ultima estate di settembre è un libro che ti fa sorridere parecchio, io ha tratti ho riso proprio, ma anche commuovere perché quando c’è di mezzo un nonno burbero e un ragazzino adolescente che ha dovuto sbattere contro la vita, ti commuovi per forza.
Ho ripensato che recentemente una libraia mi diceva proprio che esistono pochi romanzi che facciano ridere, ecco io qua ho riso e anche rumorosamente (e anche in pubblico, tanto che mi avranno presa per pazza…).
“Ora erano quasi tutti seduti al tavolo. Alcune donne parlavano tra loro (ma non sembrava dei vecchi tempi perché erano serie), uno, in piedi, imitava qualcuno, sicuramente un professore del liceo mentre stava interrogando perché un altro si capiva che era alla cattedra e si faceva piccolo così, e tutti ridevano felici nel ricordare quanto erano terrorizzati da quel professore. I due addetti al forno continuavano ad ustionarsi, ma anche loro si capiva che erano felici, infatti ballavano un po’ mentre cuocevano (non so cosa, ma la loro faccia sicuramente). Nell’aria, dalle casse di una radio enorme, risuonavano le note di una canzone di Jovanotti. Ero finito dentro un film di Muccino. Un incubo.”
Forse questo non è un romanzo che avrei scelto di mio, perché io, durante la lettura, sono appagata dalla sofferenza, ma è un romanzo che ho incontrato e letto volentieri, un romanzo che mi ha fatto compagnia su e giù per i colli della Langhe (e che anche di Langhe parla), ma che arriva dalla Toscana,
perché questo è il trentaquattresimo #librovagabondo il consiglio di Librorcia

