L’isola dove volano le femmine

Marta Lamalfa – Neri Pozza

“A quel tempo, per i settecentotredici abitanti di Alicudi, il mondo era di cinque chilometri scarsi, che nessuno sapeva contare. Insieme a loro, vivevano novecento polli, trentacinque mucche, due tori, trenta maiali, quarantacinque pecore bianche, otto colombi. Per non contare i conigli, che davano solo impiccio e neanche si facevano ammazzare, e i muli, che erano di famiglia. Altro non c’era.
Dopo il mare, c’era solo un disegno che marcava i loro confini, messo là per nascondere il vuoto. Non poteva essere altro, bello com’era.
Qualcuno diceva che oltre il mare ci si poteva andare. Che gli arcudari non erano soli. Che ce n’erano altri, come loro. Forse meglio di loro.”


Marta Lamalfa ci porta ad Alicudi, un’isola difficile da vivere, ma anche difficile da lasciare. Siamo nel 1903 e quella che ci racconta è la storia degli abitanti dell’isola, ma in particolare della famiglia Virgona, ormai da tutti chiamati gli Iatti neri: i gatti neri.
Famiglia già in lutto dalla prima pagina, per la morte di Maria, la sorella gemella di Caterina


“Guardare Maria le aveva sempre dato il convincimento di sapere come lei stessa era fatta, per non vedersi soltanto qualche volta un po’ stropicciata nel riflesso del mare o quasi un fantasma sui vetri delle finestre.”


Ed è una storia fatta di leggende e magia: di donne che volano libere nel cielo,


«Che sono le majare?» chiede Rosina.
«La majare» risponde Palma la catananna sotto lo sguardo ruvido di Palmira «sono delle donne uguale a noi, solo che c’hanno dei poteri».
«Quali?» continua Rosina.
«Prima di tutto, volano»
[…]
«Hanno le ali?»
«No, senza ali. E fanno un gran rumore quando volano, quasi come un tuono. Il rumore del vento, così tanto corrono. […] possono volare fino addirittura a Palermo»
di realtà che si mischia al sogno, di una povertà costretta a mangiare un pane nero, perché non c’è molto di più e perché la segale ha sviluppato dei corni neri e ha un gusto amaro; un pane anche capace di far “volare via”.

Ma l’isola dove volano le femmine è anche una storia che parla di rivoluzione, di voler cambiare le cose, di voler andare oltre chi comanda,

 

«… non sono stato buono a fare la rivoluzione».
«E che è?»
«Quando uno vede una cosa che non va bene, allora la vuole cambiare. Io chi ho provato e non ci sono riuscito, e come me tanti poveri cristi…».

oltre i confini di quell’isola che sembrano troppo stretti, sembrano costringere in un mondo che fa credere di essere l’unico possibile.

Ed è una storia fatta di personaggi che un poco ti restano dentro: Caterina, che dopo la morte della sorella, rimane un po’ a metà, e mentre diventa donna capisce anche che essere donna vuol dire lavorare il doppio ed essere considerata la metà. Caterina che vorrebbe volare via.

Sua madre, Palmira, che, mentre diventa nuovamente madre, si sente stretta in un corpo che deperisce ogni giorno di più e guarda il mare,

“Esce e ha paura che il vento se la porti via, come la camicia. Fra le foglie degli oleandri sfioriti, in picchiata verso il mare.
O forse sarebbe bello. Forse è così che alcune femmine volano, pensa, diventando sottili che solo l’aria ti sostiene.”

ricordando un amore lontano ed esultando per il gesto coraggioso di uno dei suo figli.

Il piccolo Nardino che non è “utile” né per la terra né per il mare e che, quindi, forse è meglio che provi ad andare a scuola.

Onofrio, il padre, che per un attimo alla rivoluzione ci ha creduto, o sperato.

Saverio che si innamora della donna che non avrebbe dovuto amare.

E poi nonni, zii, bisnonni e Ferdinando che di Maria si era innamorato forse di più dello stesso spirito di rivoluzione che vorrebbe far entrare nella testa della gente.

Poi c’è la lingua, lo stile che Lamalfa sceglie per raccontarci questa storia. Uno stile che catapulta nel luogo e nel tempo, che ti rende visivo ciò che le parole hanno messo su carta.

E forse L’isola dove volano le femmine è una storia che parla di libertà, dove, oltre ai personaggi, la vera protagonista è la natura

“I marinai arcudari lo sanno bene che è stupido pensare che la terra si agiti per gli stessi affari degli uomini. che l’erica, il caprifoglio, l’ulivo, il corbezzolo, il ficodindia, la buganvillea di certo non hanno un animo per prendersi di rabbia. Che se si domina il mare, la terra allora è poco conto.”