Olivia Fitzsimons – Atlantide edizioni – traduzione Ilaria Oddenino
“Sua madre non era una statistica dei Disordini, ma il disordine ce l’aveva dentro, è stata consumata da una guerra tutta sua. E se la verità fosse che li aveva abbandonati solo per potersi salvare? Dietro di sé aveva lasciato soltanto una scia di vergogna, vergogna che la tua stessa madre non ti amasse abbastanza da portarti con sé quando se n’era andata. Non rivendicata.
Come poteva aspettarsi che qualcun altro la amasse?”
Il romanzo di Olivia Fitzsimons ha come sfondo l’Irlanda del Nord dilaniata dai disordini, dove la cifra dei morti aumenta giorno dopo giorno, i morti per esplosioni, per attentati. Siamo negli anni che vanno dal 1982 al 1994, o meglio siamo esattamente in quei due anni, dato che alcuni capitoli si svolgono nel 1982, altri nel 1994.
Nel 1982 la voce narrante è Nuala, e Nuala ci parla in prima persona. Nel 1982 Nuala sceglie di andarsene, di fuggire, di abbandonare un marito che forse non ha mai realmente amato e due figli che probabilmente non ha mai voluto. E lo fa dopo aver tradito quel marito con il ragazzo che le consegna i giornali, un diciassettenne.
“Io voglio andare in un posto che mi permetta di essere libera. In cui non ci sia nessuno che mi guardi e voglia qualcosa da me, che mi getti addosso la maternità come una ghirlanda funebre. Voglio essere io, non la moglie o l’amante di qualcuno. Ho bisogno di ricordarmi di chi sono.”
Nel 1994 a parlarci è Sam, la figlia di Nuala, la bimba che ai tempi dell’abbandono aveva cinque anni e che ora ne ha diciassette e di quella madre ricorda molto poco. Sam ci parla in terza persona, e ci racconta una ragazza che cerca quell’amore che la madre non le ha dato, che il padre si dimentica di dimostrarle. Una ragazza che, come la madre è bellissima e, come lei, si trova prigioniera in un mondo che l’addita come diversa. Perché Sam un poco diversa è: contesta, frequenta le compagnia sbagliate, abusa di droga e alcol, si innamora di un ragazzo, Naoise, uno spacciatore.
E con questo ragazzo Sam svilupperà un vero rapporto di ossessione (cosa reciproca del resto), un amore tossico, un infinito prendersi e lasciarsi.
Una storia alla quale lei continuerà a fare ritorno, pur con la consapevolezza che quella non sia la storia giusta, che quella storia, che quel ragazzo continueranno a ferirla. Una storia dove lui vuole possedere lei e dove lei vuole essere vista da lui. Dove il “ti amo” in fondo è solo un “sei mia”.
“Mentre attraversa di corsa il cortile le cade la foto dalla tasca, l’impressione di aver perso qualcosa è così lieve che quasi non si ferma, ma poi si china a terra senza sapere dove sia atterrata, e con le mani cerca nell’oscurità quel ricordo di un attimo. I polpastrelli sfiorano i bordi bianchi, da cui gocciola acqua fangosa.
La appoggia sul tavolo della cucina, vede il sorriso di Naoise, le braccia che l’avvolgono, lo sguardo dritto nell’obiettivo. Cerca di ripulirla, la strofina con altra acqua. Il viso di Sam viene via dall’immagine insieme alla terra, i suoi lineamenti diventano una macchia prima sbiadita e poi invisibile, e il sorriso di lui ora campeggia, disteso ed enorme, sopra uno spazio vuoto, con le braccia a circondare il nulla.”
Una storia fatta di rapporti duri anche, di sesso e di sangue (il sangue irrompe da subito, già nella prima pagina), una storia fatta di mancanza da colmare. Dove la durezza della Storia si mischia con la difficoltà di vivere nel quotidiano, di comunicare anche, di essere (o capire) ciò che si vuole essere.
Fitzsimons scrive bene, la sua scrittura è quasi sempre scorrevole. Dico quasi sempre perché, a mio avviso, in alcuni passaggi viene raccontato troppo, anche ciò che basterebbe semplicemente mostrare (o che magari è anche già stato mostrato o percepito dal lettore), e questo un poco appesantisce la lettura. Forse questo deriva dal fatto che Fitzsimons nasce come sceneggiatrice e, comunque, si tratta solo di alcuni passaggi che non tolgono valore al romanzo.

