Larry Watson – Mattioli 1885 – traduzione Nicola Manuppelli
“Si stavano azzuffando per impressionarla, lo sa. E il fatto è che non è rimasta affatto impressionata ma solo disgustata. Eppure, anche questo non conta. Nemmeno lei contava, non realmente, né la sua disapprovazione né la sua rabbia. Si erano scontrati per lei, eppure non avevano avuto bisogno che lei fosse lì. Edie chiude l’acqua ed esce dalla vasca. Si asciuga e si infila l’accappatoio di flanella che pende dal gancio della porta. Esce dal bagno e, quando lo fa, si lascia dietro una scia di vapore proprio come questa mattina quando è andata al lavoro”
Edie è una donna capace di rialzarsi ogni volta che cade, capace di partire ogni volta che capisce che quella che sta vivendo non è la vita che vorrebbe. Capace di subire, ma fino a un certo punto, poi basta. Non si arrende Edie, semplicemente ogni volta sceglie se stessa. È una tosta Edie.
“Andiamo” dice, afferrando bruscamente Edie per mano “Andiamo a casa.”
Lei si libera dalla sua presa.
“Ero a casa” risponde. “E tu no.”
Dean afferra il cappotto di Edie e glielo passa senza dire nulla.
“Se tu vai al bar ogni sera, quello va bene invece, eh?” dice Edie.
Una donna molto bella, ma che non sfrutterà mai questa sua bellezza, non ricorrerà mai al suo aspetto fisico per ottenere qualcosa, preferendo sempre abbottonarsi il bottone della camicetta piuttosto che mettere in mostra quel poco di pelle che potrebbe avvantaggiarla. Usando sempre e solo la sua intelligenza. Una donna molto bella che troverà spesso in quella sua bellezza un ostacolo, un impedimento, un motivo per non essere vista
“Ma all’improvviso ho avuto questa sensazione di malessere. Ero io, certo. Ed ero lo schermo. E questo era quello che le persone, specialmente gli uomini, avevano fatto con me per tutta la vita. Vedere quello che proiettavano su di me. E adesso, quando mi guardo, mi chiedo se è quello che sto facendo anche io, solo vedere il film di qualcun altro. Quindi no, Roy. Non voglio una nuova identità. Voglio riscoprire quella vecchia”
E allora partirà Edie, non avrà paura di andarsene anche senza nulla e di costruirsi una nuova vita altrove.
Non avrà paura di cercare un luogo dove essere se stessa e non dover dare o dimostrare niente a nessuno
“E poi c’è la sua auto, l’auto di Edie… Vorrebbe poter salire a bordo, avviare il motore e prendere una nuova direzione, che non porti in nessuna delle città che avanza una qualche pretesa su di lei. Eppure, dubita che un posto del genere, la Città senza Obblighi, possa esistere, o che lei possa trovare la strada per arrivarci”
Se avete voglia di leggere la bella storia di una donna leggete “Edie” (ormai io ho assegnato un diminutivo a quello che è entrato di diritto tra i romanzi più belli letti quest’anno) un libro che partendo dalla fine degli anni Sessanta ci racconta quarant’anni di vita della sua protagonista; ma leggete “Edie” anche se avete voglia di un romanzo scritto bene, un romanzo capace di emozionarvi senza ricorrere a furbizie e facilonerie, senza portarvi alle lacrime come del resto poche sono le occasioni che, nonostante tutto, vedranno piangere la nostra Edie
“Edie lascia la roulotte. Quando apre la portiera dell’auto, deve combattere il vento per chiuderla. È stata quell’ultima raffica, si dice, che alla fine ha liberato le sue lacrime”
Un romanzo fatto della polvere del Montana, perché (forse mi sono dimenticata di dirvelo) Edie è una donna del Montana e fatto di strade che sembrano attraversare il nulla, un romanzo fatto di dialoghi (splendido e perfetto quello che ci porta al finale e che accompagna un viaggio in macchina) ma anche di silenzi, di rapporti che resistono agli anni e di altri che non resistono nemmeno al legame di sangue
Un romanzo che ho chiuso sorridendo e a chi mi ha chiesto: ma perché stai sorridendo? Io ho risposo semplicemente: Perché ho letto un libro proprio bello!

