Le piramidi di giorni

Daina Opolskaité – Iperborea – traduzione Adriano Cerri

Io la ascolto e penso che il tempo è un artigiano potente che crea le sue imponenti costruzioni con i secondi, i minuti, le ore. Sono delle vere piramidi di giorni che si stagliano sopra la mia testa e dalle quali non potrò mai uscire.”
(Io e Madlena)

Mi risulta sempre difficile parlare di racconti, trovare quel filo che in qualche modo li lega insieme; li affronto sempre a uno a uno, spesso li intervallo ad altre letture. Spesso, solo una volta terminati, li faccio scorrere e cerco di vederne i punti in comune.

In questa raccolta, credo (o comunque è ciò che ho sentito io) che il filo conduttore che unisce storie e abitanti sia una sorta di delicatezza con la quale l’autrice descrive gli stati d’animo, i sentimenti dei suoi protagonisti, il loro affrontare un particolare momento della vita, il loro affiancarlo al passato, a ciò che c’è stato o avrebbe potuto esserci. Quel momento in cui qualcosa si vede, qualcosa si realizza, qualcosa si apre tra le sbarre di quelle “Inferriate” (questo il titolo del primo racconto) che i giorni disegnano attorno alle vite. Una sorta di delicatezza che a me ha fatto pensare a centrini color ecru, quasi venisse raccontato il presente arrivando da un tempo dove la parola aveva un tocco più gentile.  Ma una delicatezza fatta anche di fiori recisi.

Sono racconti brevi i racconti de Le piramidi di giorni, o almeno lo sono per la maggior parte, ma racconti intensi. Racconti che riescono a parlare di temi intimi, di ferite non cicatrizzate, mantenendo però il distacco della scrittura, evitando di enfatizzare il dolore, ma quasi ricordandoci che fa parte della vita e, come nella vita, le cose vanno come devono andare. A volte bene, a volte male

“piuttosto perché mai alcuni sentimenti infestano l’uomo come piccoli parassiti, si insediano dentro di lui, si cibano dei suoi pensieri e del suo sangue ed è impossibile scrollarseli di dosso ancora dopo tanti anni? A quanto pare ormai sei tranquillo, si è tutto sbiadito, dissolto, evaporato; tutto si è allontanato come le luci di un treno che passa. Ma quei sentimenti nessuno può cambiarli […] Un fenomeno naturale come la maturazione delle amarene sulle chiome degli alberi o lo svolazzare dei soffioni nel cortile.”

Questo un passaggio tratto da L’esame di maturità, il mio racconto preferito tra tutti. Qua il passare del tempo viene continuamente scandito attraverso il maturare delle amarene e il correre nell’aria dei soffioni, quasi a voler rendere poetico, quasi naturale – inevitabile – un evento legato a un senso di colpa lontano


“I soffioni volarono per le proprie strade senza lasciare traccia e le amarene mature, una volta colte, divennero presto marmellate e conserve”.