Le cronache di Château Lacrotte

Maria Kassimova-Moisset – Voland – traduzione di Giada Fratini a cura di Daniela di Sora

“Grazie a mia madre Seta e a mi padre Hindo, che mi hanno insegnato la lezione di vita più importante: ridere di cuore! Soprattutto di sé stessi…”


Inizio a parlare de Le cronache di Château Lacrotte dalla fine, dalle ultime righe di ringraziamento scritte dall’autrice, perché credo che possano riassumere l’essenza di questo romanzo: ridere, ridere di gusto. Divertirsi davvero.


“Eccomi! Kalina Gandeva-de Lacrotte in persona, bulgara di 39 anni, giornalista, personaggio pubblico, madre di un’adolescente e di un bambino di nove anni. Dopo un matrimonio drammaticamente concluso con un bulgaro, sono ora una nuora francese. Vado incontro alle strade europee con una macchina inadatta allo scopo e riempita fino all’orlo, in compagnia del legittimo consorte francese, dure cani e una gatta! Se qualcuno mi avesse predetto che nella mia vita così sobria, pianificata e precisa mi sarei trovata in una simile situazione da barzelletta, mi sarei messa a ridere a crepapelle. Ma la vita è una sceneggiatrice esperta e con acuto senso dell’ironia e dunque mi affido in modo aristocratico alla sua inventiva e sto a vedere cosa succede”


Kalina è una donna bulgare che ha sposato in seconde nozze Didier, un francese di origini aristocratiche: il romanzo si apre, infatti, con la scena spassosa dei due coniugi che (come la mitica famiglia Brambilla del nostro immaginario) riempiono la Cinquecento e partono dalla Bulgaria per raggiungere il castello francese abitato dai signori de Lacrotte, quei suoceri che Kalina non ha mai conosciuto, dato che


“… non siamo riusciti a venire al vostro matrimonio in Bulgarie. Non pensavo che avreste resistito più di qualche mese e non valeva la pensa investirci”


come dirà madame de Lacrotte. E da qua si capisce subito che l’incontro con i suoceri non sarà cosa facile per la nostra Kalina. E tutto peggiorerà quando al castello arriveranno, invitati o meno, i vari componenti delle due famiglie, creando un mix esilarante. Personaggi ai quali non puoi che affezionarti, nel loro essere assurdi e macchiette di se stessi, nel loro creare ogni giorno situazioni imprevedibili e problemi da dover risolvere

 

“Alla fine […] Ho tirato fuori dal fondo della mia borsa un pacchetto di sigarette nascoste per casi eccezionali, mi sono seduta su un gradino dell’ampia scalinata di marmo proprio sotto una delle ballerine di Edgar Degas e me ne sono accesa una. Ho inspirato profondamente, ho lasciato che la nicotina passeggiasse  nei miei polmoni e ho sentito un rumore sordo, come di un animale che mangia. Anastasia dal sangue freddo se ne stava quasi imbalsamata su di una chiazza di sangue dimenticata del signor Jean-Baptiste e leccava soddisfatta con la lingua lunga e appuntita. La sua armatura di squame l’aveva protetta da tutto quello che ci avevano servito le ultime interminabili ventiquattr’ore.
A volte vorrei essere un’iguana.”


Ma quello che ci racconta Maria Kassimova-Moisset (facendosi ispirare dalla sua vita) è uno scontro tra culture molto diverse: da una parte gli aristocratici e snob de Lacrotte


-… Ho visto in un reportage su Télé France 1 che questa gente… i biulgari… sono da qualche parte intorno alla Turchia. Anzi, hanno davanti i romeni e dietro i greci.
– Vuoi dire che al nord confinano con la Romania e a sud con la Grecia…
-È quello che ho detto, no? Davanti e dietro. Avrei scommesso che tra questi due non ci fosse niente e invece è venuto fuori che c’è la Biulgaria!


dall’altra quella Bulgaria considerata inferiore, grezza, popolana. Uno scontro che riuscirà a trovare un equilibrio nell’essere tutti parte di una stessa squadra: della famiglia


“Radina ci fa una foto e la carica su Instagram con una didascalia che vedrò solo più tardi: “Ecco, sono costretta a vivere con questi pazzi.” Nella foto siamo proprio così, in pigiama, spelacchiati e spettinati, con le mutande bianche, le camicie da notte con le pantere rosa, le vestaglie, i turbanti, i bigodini di metallo e il doppio mento, mentre agitiamo mani e armai. Abbiamo lo sguardo ebete gli occhi mezzi chiusi e la bocca mezza aperta. La vedo farsi un selfie e usarci come sfondo. Come allo zoo”


Le cronache di Château Lacrotte è un romanzo che mischiando culture e lingue (complimenti alla traduzione!) non perde mai il ritmo; una commedia che ci parla di famiglia e che sa farci ridere, parecchio