Caoilinn Hughes – Atlantide – traduzione di Marilena Motta
“Le viene voglia di raccontare la verità: che la maggiore delle sue sorelle è scomparsa. Che viveva a Galway fino a tre mesi fa, quando è uscita in giardino a prendere il rabarbaro per il suo gin e ha continuato a camminare. Che ha lasciato lavoro e famiglia, e oggi nessuno sa dove sia, e tutto quello che possono fare è inviare risposte mai consegnate all’unico messaggio che aveva mandato loro all’inizio di ottobre, dicendo: ‘Dovevo andarmene. Scusatemi. Sono al sicuro ora più che mai. Non venite a cercarmi’. Beh, non è tutto quello che possono fare…”
Le quattro sorelle Flattery sono legate da un lutto comune, sono orfane da quando erano giovani e hanno dovuto imparare a convivere con questo fatto, con il dover essere forti, essere in grado di cavarsela. Olwen, la maggiore delle quattro, è stata la madre surrogata, ma poi ognuna di loro ha preso una strada diversa, in luoghi distanti. E distanti sono, forse, loro stesse.
“Forse ha a che fare con la pioggia che le confonde in macchina insieme, ma la distanza tra loro sembra mutare continuamente.”
Quattro sorelle, come le “Piccole donne” di Alcott, ognuna ben definita nelle caratteristiche che la distinguono dalle altre (ed è forse questa uno dei punti di forza del romanzo di Hughes):
Rhona vive a Dublino ed è un’esperta di politica. È la sorella pratica, quella che ha sempre una soluzione. Rhona la incontriamo con un figlio nato da poco e per caso, un figlio che pare ammorbidire il suo essere così pragmatica, ma che, nello stesso tempo, la rende pragmatica anche nella gestione del suo essere madre.
Maeve vive a Londra ed è una chef diventata famosa grazie ai video postati (quasi per gioco) sui social. È l’unica sorella che non ha un dottorato, è in procinto di scrivere il suo terzo libro, e vive su una barca insieme a un mimo (coinquilino non amante). La incontriamo in crisi sul suo futuro, sia lavorativo che personale.
Nell, la più giovane, vive in America e insegna filosofia pop, tiene seminari che parlano di felicità ed è imprigionata in una malattia che le sta togliendo la sensibilità dei piedi. È o dovrebbe essere la più fragile delle sorelle, ma scopriremo che non è proprio così.
E poi c’è Olwen, che vive in Irlanda, dove insegna geologia, e che ha sempre pensato agli altri prima di se stessa. Vive con un uomo che ha perso la moglie e con i suoi due figli, che ha cresciuto e “risanato” dal lutto. Ma ora Olwen, come Mary Poppins, ha visto il suo compito assolto e se ne è andata, decidendo, forse, di occuparsi di se stessa e stop. Di chiudersi la porta alle spalle senza fare rumore, inforcare la bicicletta, e partire senza rivelare a nessuno la sua destinazione.
“Era stato un sollievo per lei, negli ultimi mesi, non sentirsi chiedere le cose che le venivano chieste di continuo – dai colleghi più che dai ragazzi – e si riducevano tutte a un’unica domanda disperata: Hai una speranza?”
Ma, ovviamente, Rhona, Maeve e Nell non ascolteranno il desiderio di Olwen di non essere cercata e si ritroveranno a causa (o per merito) di questa missione, dopo anni di separazione, in un piccolo cottage in campagna, lontano da quasi tutto e in mezzo a una tempesta che riuscirà anche a isolarle per un po’.
“È curioso arrivare da così lontano. E poi ritrovarsi in uno spazio pieno di piccole lontananze”
Si ritroveranno a raccontarsi e a ricordare, a cercare di dare l’una un supporto all’altra, ad accusarsi come a capire ciò che solo insieme possono capire.
Questo in poche parole è Le alternative di Caoilinn Hughes, un romanzo che è di certo molto di più: 400 pagine (che io forse avrei ridotto un pochino, ma chi sono io?) piene di Irlanda e di relazioni, di natura, ma anche di politica.
Un romanzo che ha la sua originalità (e aggiungerei il suo secondo punto di forza) nella struttura, in quanto Hughes ha deciso di alternare una parte di romanzo puro, dove nemmeno i dialoghi vengono evidenziati; a una parte composta da atti teatrali, fatta di dialoghi (riuscitissimi e non è cosa da poco…) e qualche descrizione di scena. E, con questo espediente, riesce a portare l’attenzione del lettore o della lettrice direttamente sulla scena, ma anche ad accelerare (e forse alleggerire) il ritmo della sua narrazione.

