Darko Cvijetić – Bottega Errante – traduzione Elisa Copetti
“… c’era qualcosa di strano nel Condominio rosso di Prijedor.
Il «villaggio verticale», parafulmine mortuario, un’altezza da Icaro, con ascensori come Minotauri in un labirinto di scale.
Come l’anguria che sta al fresco nell’acqua, anche lui forse è affondato nell’infelicità, nella pece dell’infelicità.”
Poco meno di cento pagine, trentadue capitoli, raccontano i 104 appartamenti del Condominio rosso. Dodici piani più una galleria, perché tredici piani avrebbe chiamato la sfortuna, ma gli abitanti del Condominio rosso la sfortuna la frequentano ogni giorno. Qua la morte è di casa
“Nel Condominio rosso la morte si è sempre sentita particolarmente, e non se n’è mai andata a mani vuote. Intorno al condominio si uccideva e si ballava il kolo, dentro è stata concepita una moltitudine di bambini, molti i morti trasportati fuori con l’ascensore grande. Quante signore delle pulizie sono cambiate in quarantatré anni, quante volte pulite le scale, gli ascensori tirati a lucido…”
Darko Cvijetic racconta la storia di un gruppo eterogeneo di individui, diversi per ceto, per lavoro, per etnia, per generazione anche; una comunità che con l’avvento della guerra finisce di essere tale. Il vicino può diventare il nemico, sorge la necessità di dividersi, separarsi, costruire delle barriere, nascondersi, isolarsi. Sono pennellate di dolore quelle che ci racconta Cviketic; quel dolore che il suo popolo conosce molto bene. Quello che ci racconta è un dolore che mantiene la dignità di chi non si dispera, ma va avanti, di chi, in fondo, della vita accetta anche la morte.
Fa male leggere le vite di questi condomini, fa male salire e scendere con quell’ascensore (marca Schindler) che la morte l’ha vista troppo spesso. Fa tanto male che, nonostante la brevità del romanzo, non puoi leggerlo tutto in un fiato (o almeno io non ci sono riuscita): troppo forte la sensazione che sui muri di quel condominio la morte, la scomparsa, il dolore siano aggrappati, e diventati parte talmente integrante che per gli abitanti è impossibile pensare a una vita diversa.
Darki Cviketic, attraverso la vita del Condominio rosso, ci racconta quello che resta della sua Nazione e del suo Popolo
«Sì, sono stato fortunato» disse ai convenuti «io non sono morto per la patria. Solamente lei non ha avuto la mia stessa fortuna ed è morta per me!»
Ed è bello questo romanzo, è bello nel suo modo poetico di raccontare quel dolore, con una levità che contrasta con l’immagine che ci restituisce. Ed è perfetta la lettura che ne fa Federica Manzon nella postfazione.

