William J. Locke – Atlantide edizioni – traduzione Valentina Francese
«Questo è il mio amico, Mister Overshaw. Martin, lascia che ti presenti Mister Daniel Fortinbras, Marchand de Bonheur»
Fortinbras tese una mano bianca e delicata e strinse quella di Martin con benevolenza: «Che tradotto nel nostro più rozzo idioma, significa Mercante di Felicità».
«Vorrei tanto che me ne vendeste un po’», sorrise Martin.
«Anche a me», aggiunse Corinna.
Fortinbras avvicinò una sedia al tavolo e si sedette con loro.
«La mia tariffa», disse, «sono cinque franchi a testa, anticipati, grazie».
Bello sarebbe incontrare un mercante di felicità, bello sarebbe poterlo pagare solo cinque franchi e tornarsene a casa con le indicazioni per raggiungere quella felicità. Bello sarebbe incontrarlo proprio al momento giusto, quando qualcosa si è spezzato, quando la direzione si è persa, quando nulla ci vincola al luogo o alle persone di quel luogo.
E questo è proprio ciò che accade a Corinna e Martin,
«Non sono parenti, non sono sposati, non hanno una relazione. Sono Arcadici da marciapiede, più innocenti delle colombe, e di un feroce moralismo inglese. Lei è una pittrice senza mecenati, lui un professore senza allievi.»
E l’indicazione da seguire per loro sarà di prendere una bicicletta e, partendo da Parigi, attraversare una parte di Francia, di farlo senza fretta, fino a raggiungere un hotel in una piccola cittadina, là dove vivono il cognato e la figlia di Fortinbras
“Nella strana professione in cui si era lasciato trascinare chissà come, quella di dare consigli privati, non solo agli studenti (man mano che la sua fama si diffondeva) anche ai piccoli negozianti e agli operai della Rive Gauche, all’invariato compenso di cinque franchi a consulto, Fortinbras era stato in grado di avere una visione piuttosto distaccata dei vari dilemmi umani. Risolvendoli, riusciva a dimenticare il problema spaventoso che affliggeva la sua esistenza e a trarne un sommesso piacere. Solo nel caso di Corinna e Martin si era comportato altrimenti, ovvero non aveva agito con impersonale distacco. In via sperimentale, li aveva fatti entrare in contatto con le sue questioni private”
Fortinbras ha in mente un piano di felicità per Corinna e Martin, ma non è detto che quel piano sia quello giusto, non è detto che non sarà il destino o il caso a guidare il due verso quella felicità che stanno cercando. E il loro sarà un viaggio non lineare, non senza ritorni o ripensamenti.
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L’anno portentoso è un romanzo pubblicato per la prima volta nel 1916, è un romanzo che si svolge agli inizi del Novecento, termina più o meno negli anni della Prima Guerra Mondiale, ed è un romanzo/romanzo: ovvero un romanzo con una trama che diventa un viaggio, una crescita dei protagonisti (ah, dimenticavo di dirvi, che i protagonisti in questo romanzo sono un poco tutti i personaggi che incontriamo strada facendo, ognuno con caratteristiche indimenticabili). Ne L’anno portentoso si viaggia insieme ai personaggi, si parte da Parigi per raggiungere l’Estremo Oriente, si fa tappa a Londra, ma ci si sposta anche in Egitto. Perché, come detto, la felicità non sempre la si trova là dove ci eravamo immaginati di trovarla, e a volte bisogna anche riempirsi di polvere e inciampare nei miraggi, per capire qual è la direzione giusta
«qui si può trovare tranquillità e gioia, e alla fine anche il senso delle cose, delle umane cose. Poiché io credo che dove gli esseri umani vivono, amano, soffrono e lottano, ci sia un significato eterno che va oltre i luoghi comuni, e se lo cogliamo, ci conduce alle radici della vita stessa, che è poi la felicità».
È bello L’anno portentoso, è un romanzo perfetto per il periodo natalizio, un romanzo lieve che riappacifica il cuore, un romanzo che esalta l’amore e i sentimenti. Ed è bello che Atlantide abbia deciso di pubblicarlo e di farlo nella sua veste raffinata; anche se, mi sento di dire, che proprio perché la veste è raffinata io mi sarei aspettata di non trovare refusi e, ahimè!, un paio di refusi (sciocchezze certo) io li ho trovati.

