La scala di ferro

George Simenon – Adelphi – traduzione Laura Frausin Guarino

«Se è preoccupato, le consiglio di annotare d’ora in poi tutto quello che ha preceduto ogni crisi, quello che ha fatto, quello che ha mangiato…»
Proprio quel pomeriggio aveva avuto una crisi, e in quel momento solo la scala di ferro lo separava da sua moglie, che non si era accorta di niente. Non l’aveva chiamata, non si era alzato per prendere un bicchiere d’acqua. Aveva bevuto un po’ di limonata tiepida, che per diversi minuti gli aveva dato bruciore di stomaco.
Dopo, molto dopo, aveva critto le poche parole fatte scivolare tra le pagine della Vita degli insetti.

C’è una scala di ferro che separa l’appartamento dove Étienne vive con la moglie Louise e il negozio, la cartoleria, dove Louise è la padrona. C’è una scala di ferro che pare dividere, ma nello stesso tempo unire i due coniugi, una scala di ferro dalla quale lui, a un certo punto, inizia a spiare lei, ad ascoltarne la voce, a dubitare dei suoi movimenti.

Simenon ci racconta il sospetto di un uomo, un uomo vittima di crisi di salute che lo costringono spesso a letto, che lo stanno facendo dimagrire, a ricorrere a controlli medici. Ci racconta un uomo ipocondriaco? Ci racconta un uomo geloso? Ci racconta un amore ossessivo? Ci racconta un uomo che qualcuno sta tentando di avvelenare? Ci racconta un uomo che ha un grande senso di colpa racchiuso in una frase da lui pronunciata parecchi anni prima, forse.

“Per quindici anni non aveva mai interrogato sua moglie in proposito e gli capitava di tremare all’idea che potesse essere lei fargli confidenze.
Come a Nizza, erano vissuti isolati da tutti, scavandosi in qualche modo una tana solitaria in mezzo alla folla brulicante di Parigi, e c’erano soltanto i Leduc che una volta alla settimana venivano a trovarli.”

Ovviamente non sarò io a dirvi cosa ci racconta, perché questo è uno di quei romanzi che bisogna leggere per poi scoprire. Io mi limito a dirvi che questo è uno dei romanzi “duri” di Simenon (uno dei suoi migliori, a mio parere, almeno tra quelli finora letti)

ed è uno di quei romanzi che riesce a trascinarti dentro: perché il dubbio di Étienne diventa il tuo dubbio, caro lettore, tu stesso inizierai a farti delle domande su Louise e forse anche su Étienne stesso. Anche tu, come lui, ti affaccerai a quella scala per cercare di raccogliere nuovi indizi.

Credo non serva dire che Simenon è ancora una volta magistrale nel raccontarci uno di quei suoi personaggi che sembrano sempre essere un poco grigi, come il cielo di quella Parigi che fa da sfondo a questo suo romanzo. Un uomo solo, in fondo,

“Presuntuoso, così lo definivano anche in caserma, e nei diversi uffici in cui aveva lavorato in seguito gli altri impiegati non lo avevano mai considerato un collega simpatico.
Era sempre stato un solitario, e la gente diffida dei solitari, senza chiedersene il perché.
Fino al suo incontro con Louise.”

un uomo che vuole solo conoscere la verità, a ogni costo. E tu con lui.

“Aveva deciso di vivere. Non voleva ritornare sulla sua decisione. Aveva anche deciso di tenersi Louise”.