La porta delle stelle

Ingvild Rishøi – traduzione Maria Valeria D’Avino – Iperborea

“Papà prende il bollitore e io ho già la testa piena di sogni. Perché conosco il posto dove si vendono gli alberi di Natale e penso che ci potrei andare subito dopo scuola e vedrei papà girare tra gli alberi, con addosso il suo maglione islandese. Mi piazzerei al distributore di benzina e lo guarderei sorridere ai clienti e infilare i loro soldi in un portafogli bello gonfio.”

È Ronja che ci racconta questa storia, Ronja ha dieci anni, una sorella alla quale è molto legata (Melissa) e un papà, che pur amando le sue due figlie, è poco affidabile. Un papà sempre senza lavoro e che, quando il lavoro lo trova, spesso lo perde a causa della Porta delle stelle

“E poi è arrivato lunedì, e martedì e mercoledì, papà parlava della baita che ci saremmo comprati se solo avesse trovato un lavoro fisso, è arrivato giovedì e poi venerdì, e lui parlava del sentiero e dello steccato e diceva che ci saremmo seduti sui gradini a guardare il Grande carro. È arrivato sabato e hanno bussato alla porta.”

La porta delle stelle, il luogo dove papà va a bere.

“Ma io non ce la faccio a non sperare. Il mio cervello è fatto così. Allora spero che qualcuno distrugga la Porta delle stelle e chiuda tutti i rubinetti per spillare birra del mondo, ma non succederà mai, la birra continuerà sempre a scorrere da qualche parte, e nella testa mi si fa tutto nero. Non ho niente da dire. E va avanti così. Continuo a pensare e poi viene la notte perché viene sempre Era la notte del primo di dicembre e io stavo ferma e zitta con la testa sul braccio di mia sorella.”

E quando il padre perde anche il lavoro di venditore di alberi di Natale, un lavoro che la stessa Ronja gli aveva trovato, saranno Melissa e Ronja a prendere il suo posto e a portare a casa i soldi per la sopravvivenza e per evitare l’intervento dei servizi sociali.

“Lavorare. Quando lavori, non hai bisogno di pensare a cose, di sentire cose o di farti domande. Come non sentire la gente in salotto anche se la sentivo. Come non vedere papà anche se lo vedevo.”

La porta delle stelle ha la dolcezza di un paesaggio nordico (siamo a Oslo), la speranza dello sguardo di una bambina

“Perché c’è la speranza che rovina sempre tutto, ma non riuscivo a togliermela dalla testa, quella speranza idiota.”


che sogna un Natale normale, un Natale con i regali e un albero in salotto, che sogna un papà che la venga a vedere alla recita. E ha personaggi che paiono uscire da un mondo incantato: un custode di origini balcaniche che fuma sul cancello della scuola e un vicino di casa grande e grosso, ma capace di stirare perfettamente un costume da santa Lucia, per esempio.

Ma ha anche il tocco aspro della realtà, con la quale prima o poi bisogna fare i conti


“Sì, ecco come succede. Vivi felice tutti i tuoi giorni. Felice, al caldo e con la pancia piena. E abbassi la guardia. Nelle fiabe non succede ma nella realtà sì.”


Magari quando ci si distrae un attimo.

Ingvild Rishoi ci regala una favola natalizia filtrata dallo sguardo di una bambina, e riesce a mantenere sempre quello sguardo, quella narrazione, capace di rendere unica e indimenticabile questa storia.

E detto da una come me che detesta il Natale e tutto ciò che gli ruoto intorno, credetemi, non è poco… anche perché io La porta delle stelle l’ho proprio amato.