La piccola conformista

Ingrid Seyman – Sellerio – traduzione Marina Di Leo

“Babeth e Patrick non battibeccavano mai per sciocchezze, come sembravano fare gli altri genitori. Tra loro non c’erano divergenze d’opinioni, né scontri verbali, né aspri rimproveri. Niente frasi del tipo: «Questo cosciotto di agnello è senza sale», o «Sei troppo duro con Jérémy», o «Non puoi negare la funzione dissuasiva della pena di morte!», come avevo sentito una volta a casa dei Robert. Ma non era certo per discrezione che Babeth e Patrick tacevano in nostra presenza i loro motivi di conflitto.
La verità è che i miei genitori detestavano i preliminari. Il riscaldamento dei sensi, nonché quello degli animi, non apparteneva al loro modus operandi. Di conseguenza le scenate si scatenavano quasi per magia, come in un film d’azione già iniziato.”

Ricordo di aver sentito la editor di una nota casa editrice dire che la cosa più importante, quella che nota prima e che prende in considerazione quando deve decidere se pubblicare o meno un’opera, non è tanto la storia che viene raccontata, ma la voce di chi la racconta. Deve sentire quella voce e quella voce deve essere diversa dalle altre.
La piccola conformista è la storia di una ragazzina, Esther, nata in quella che sembra essere la famiglia sbagliata per lei

“Sono nata, insomma, da destra, in una famiglia di sinistra.”

Lei così reazionaria e ligia alle regole, al rispetto degli orari, si trova a vivere in una famiglia dove in casa ci si spoglia e si mangia nudi. Una famiglia che trascorre le vacanze su spiagge nudiste e che pare reggersi su un precario equilibrio tra le stranezze di Babeth, la madre e quelle di Patrick, il padre. Due genitori sempre sull’orlo del divorzio, due genitori che trovano però un modo per riuscire a convivere.
Esther cerca così di uniformarsi a ciò che è il mondo fuori dalla famiglia. Cercando un dio diverso da quello del padre (ebreo) e di quello inesistente della madre. Mentendo e nascondendo la vera Esther 

“… se le avessi parlato del fascino che esercitava su di me l’accordo del participio passato con il complemento oggetto diretto quando quest’ultimo è collocato prima del verbo, non mi avrebbe certo prestato attenzione. Decisi quindi di lasciarle affrontare l’unico argomento che le stava a cuore, e che invece non suscitava in me alcun entusiasmo né rispetto: l’Amore.”

Esther che allinea i libri seguendo un ordine legato all’argomento (perché quello alfabetico è troppo noioso) e si trova spiazzata davanti a quei romanzi che parlano di amore, ma anche di guerra. Esther che parla al lettore senza paura di confessare ciò che prova, anche quando si tratta di pensare a un omicidio, a vergognarsi della propria famiglia, o a dire

“Avevo paura dell’amore. O meglio della visione dell’amore che mi offrivano quotidianamente i miei genitori.”

Ed è, appunto, la voce di questa ragazzina, che pagina dopo pagina raggiunge la pubertà, la vera forza di questo romanzo. La sua ironia, la sua schiettezza. Come lo è (per me) la bellezza del personaggio di Babeth, una ex sessantottina, una figlia dei fiori in minigonna, capelli lunghissimi e fragilità.