La mia casa altrove

Federica Marzi – Bottega Errante

“Adesso, però, facendo uno più uno, vale a dire Italia+Jugoslavia+tutte le nuove repubbliche autonome, un conto che si sarebbe potuto fare anche all’indietro o cambiando il segno più con meno, capì che lei e Norina avevano una storia in comune. Anche Norina era venuta via da un posto e forse anche lei si rapportava sghemba alle trasformazioni di un Paese che era stato, ma non era più, ed era diventato qualcos’altro, ritagliato dall’intersezione di confini vecchi e nuovi. Il Paese rimasto indietro.”

Due donne che vivono a Trieste, due donne che nel loro passato hanno dovuto abbandonare un luogo, il loro Paese, per ricostruire la vita altrove. Una ragazza Amila che, ancora bambina, è fuggita con la famiglia dalla Bosnia, nel momento in cui una guerra stava scoppiando e un popolo un tempo unito sarebbe arrivato alla frammentazione

“Amila aveva fatto come gli altri. Come quei compagni di un’infanzia interrotta bruscamente che non potevano essere diventati nemici, benché non potessero dirsi più nemmeno amici. Erano stati troppo piccoli per c’entrare veramente con qualsiasi fatto dell’epoca. Avevano vissuto ogni cosa dal loro punto di vista, finendo le elementari, venendo operati o curati, giocando nei campi profughi, imparando a vivere da un’altra parte del mondo oppure a sopportare un penoso dopoguerra senza prospettive. Tutto continuando a vedere e ascoltare cose che avrebbero dovuto essere state vietate a dei minori come loro.”

e una donna ormai anziana, un’esule istriana che un tempo ha dovuto scegliere se stare di qua o di là da un confine

“Chi voleva andare verso la patria italiana, a Trieste, doveva mettersi in fila al comune e abbandonare i beni. Le famiglie si disgregarono. Le amicizie si sbriciolarono come pasta frolla. I lacci che avevano tenuto insieme una comunità si recisero. E anche i giuramenti e le promesse che avevano cantato amor, amor, amor si ruppero come tanti rami secchi.”

Due donne le cui vite si incontreranno, e da quell’incontro nascerà la necessità o la consapevolezza che per poter affrontare il futuro bisogna prima affrontare ciò che è rimasto non risolto nel passato, anche se quel passato ormai riguarda un mondo che non esiste più e delle persone che sono andate perdute.


Leggere La mia casa altrove, una storia di esuli, di profughi, di persone che in passato sono state costrette alla scelta o alla fuga, leggerlo in questi tempi in cui tutto ci parla di guerra, di divisione, di abbandono mi ha avvolta in un senso di stranezza. E per stranezza intendo che mi ha costretta a mischiare la realtà dei giornali con le pagine di un libro che riportano, certo, una parte di storia, ma con il tocco “distaccato” della fiction, del romanzo. Marzi ha una scrittura lieve e sceglie di parlare di un dramma attraverso due donne che prendono coscienza di dove la vita le ha condotte e di cosa hanno perso strada facendo: per colpa di quella fuga, di quell’esodo. Due donne che vivono quella che Amila chiama “stranieritudine”, l’essere ormai abitanti di Trieste, ma avendo lasciato un pezzo di sé nell’altro luogo, quello del passato, il luogo che non hanno potuto vivere


“L’Italia, Trieste, casa loro. Il Paese dove si erano fermati a vivere. L’amavano? Sì e no, come si amano i posti ai quali si appartiene, indipendentemente dalla percentuale di diritto acquisito per nascita. Solo che loro, al bisogno, potevano ricorrere anche all’altro Paese, come a un’entità immaginaria, l’altra memoria, la vita che non avevano avuto, ma che potevano sempre essere.”


E sceglie di raccontare anche due amori, quello di Norina che è ormai il rimpianto, la rabbia, un qualcosa che non ha potuto essere; e quello di Amila che è il presente, ma che deve trovare la forza dell’attesa e del distacco. E il distacco è il tema principale di questo romanzo: che sia dalla Terra, che sia dalle persone che si sono lasciate di là, che sia dall’amore o da una sorella.


La mia casa altrove si legge in modo fluido, ma è un romanzo che apre curiosità, che spinge a guardare i fatti (e chi è italiano, ma anche, o ancora, straniero) in modo diverso e che lascia al lettore una domanda, quella di una delle due protagoniste


“Il dubbio su chi avesse avuto ragione e chi torto. Chi era andato, lasciando tutto o chi era rimasto, tenendosi tutto, spartendoselo poi con chi sarebbe arrivato”