La luce difficile

Tomás González – La nuova frontiera – traduzione di Lorenzo Ribaldi

Sono passati così tanti anni che persino il dolore nel mio cuore si è gradualmente asciugato, come l’umidità in un frutto, e solo di rado il ricordo di ciò che è accaduto all’improvviso mi turba di nuovo, come se fosse successo ieri, e deglutisco con forza per controllare i singhiozzi. Però capita ancora, e l’angoscia allora minaccia di piegarmi. A volte mi succede anche di pensare a mio figlio, e le sensazioni sono così calde che mi sembra che la vita sia eterna, tranquilla ed eterna, e il dolore, un’illusione.”

David ha settantacinque anni ed è un pittore affermato, ma ora una malattia degenerativa gli sta portando via la vista.

“Ci sono due quadri famosi, non ricordo ora il nome del pittore, penso sia francese, i cui titoli sono Ritratto di un vecchio, Ritratto di una vecchia, e quello mi ha colpito, oltre alla grande qualità della pittura, è che in età molto avanzata si perde il nome.”

Inizia così a pensare al passato, a pensare a un episodio preciso del suo passato, a quella notte di vent’anni prima in cui il suo primogenito Jacobo e il fratello Pablo hanno intrapreso un viaggio che avrebbe portato a casa solo uno dei due.

La luce difficile è un romanzo che racconta la morte di un figlio, la morte volontaria di un figlio, un’eutanasia, ma ce la racconta dal punto di vista dell’attesa di quel momento: David, Sara (la moglie, la madre) e Arturo (il terzo figlio) aspettano la notizia del fatto avvenuto o, forse, il cambio di idea di Jacobo, pur sapendo quanto per Jacobo ormai la vita sia diventata insopportabile a causa della sofferenza fisica conseguenza di un incidente stradale.

“Capita che sia facile accettare il dolore quando non ci riguarda, ma quello di mio figlio era assolutamente mio”

E David ripercorrendo quei momenti a vent’anni di distanza, decidendo di metterli su carta, di lasciare la memoria di ciò che è successo, e facendolo utilizzando una lente di ingrandimento o l’aiuto di Angela e dei suoi errori di ortografia, ci racconta anche quella New York dove la famiglia boliviana si era trasferita e la ricerca della luce perfetta per il quadro che stava dipingendo.

“Molte cose vedranno per sempre la luce nel mio cuore: questo parco; Central Park; il giardino botanico di Brooklyn; le sculture di Rodin del museo di Brooklyn; il mare di Coney Island; la luce de La Guajira; la luce di Islamorada nelle Keys; la luce di Medellín della mia infanzia; le montagne a est di Bogotá; il mare di El Farito a Miami, quando l’uragano non aveva ancora strappato i bellissimi pini australiani che crescevano lì; i cormorani che si posavano su quei pini; il sorriso di Sara; il sorriso di Venus e dei suoi figli; i banchi di pesci verdi dell’East River; gli occhi brillanti, intelligentissimi di Jacobo; la voce musicale di James; Debrah tutta (è piccola); i tatuaggi di Pablo, il nostro omaccione colto, saldo come una roccia, e le lunghe dita di Arturo, così simili alle mie.
Tutto ciò, nei minimi dettagli, qui con me.”


C’è dolore tra le pagine di questo libro, c’è la perdita, non posso dire di non aver pianto leggendolo, ma il racconto che ci fa Gonzales di un argomento così scottante è delicato, ha luce e non buio. Ha il tocco del racconto di un pittore,


“Come sono le parole. […] mi stupisce di nuovo quanto siano duttile le parole, quanto da sole, o quasi da sole, esprimano la natura ambigua, mutevole, instabile delle cose. Sono come il mondo: instabili come una casa in fiamme, come un rovo ardente. Eppure ho ancora nostalgia dell’odore dei colori a olio e della polvere del carboncino tra le dita, ho nostalgia della fitta, paragonabile a quella dell’amore, che si prova quando si sente di toccare l’infinito, di catturare la luce schiva, la luce difficile, con un poco di olio mescolato a polvere di pietre e metalli.”


La sua poesia che parla di vita, di amore, di famiglia, raccontandoci la morte.
Sono le parole di David che per un momento avrebbe deciso di andarsene anche lui, ma che non ce l’ha fatta, forse perché vile, forse perché, in fondo, la vita ti chiama sempre, ti trattiene.


“Un mondo senza dolore, pensai, sarebbe così incompleto, così poco armonioso e così brutto quanto una scultura o un albero senza ombra.”