La gazza

Elizabeth Day – Neri Pozza – traduzione Chiara Uika

“Ma niente resta perfetto per sempre, vero? Era una lezione che aveva appreso da bambina e si era ripromessa di non dimenticarla mai, finché non era arrivato Jake, e poi, stupidamente, si era lasciata trascinare dalla fiducia infondata che tutto sarebbe andato sempre meglio. Aveva permesso a se stessa di innamorarsi.
Guardando indietro, Marisa avrebbe visto quel momento sulla panchina del giardino come l’ultimo momento di felicità prima che tutto cambiasse. Prima che il loro piccolo mondo protetto scivolasse sul proprio asse e li mandasse a roteare nell’oscurità. Era stata sciocca a credere nel loro futuro. Perché la felicità è transitoria, e lei l’avrebbe scoperto con l’arrivo dell’inquilina.”

Elizabeth Day con questo romanzo e con questa frase che inserisce nelle prime cinquanta pagine, promette qualcosa che odora di mistero, di attesa, di thriller. E fino a un certo punto ci riesce anche: Marisa e Jake, dopo una breve conoscenza, decidono di diventare famiglia, cercano una casa e provano ad avere un figlio. Ma poi sono costretti a dividere la casa con un’inquilina e da quel momento, piano piano, Marisa percepisce che qualcosa sta cambiando, specialmente quando resta incinta e l’invadenza di Kate (l’inquilina) diventa più assillante.

Day ci riesce ancora per un poco, quando sorprende il lettore con alcuni colpi di scena, e anche quanto ci porta nel background di Marisa, facendocene capire le fragilità, ma a mio avviso non va fino in fondo, non ci regala  un romanzo degno del suo precedente Il Party.

Essendo La gazza definito come thriller psicologico e, in fondo, essendolo, poco si può raccontare, senza rischiare di rovinare la trama al lettore futuro. Perché il lettore verrà davvero catturato dalla storia (a me è successo), una volta dentro quella casa, vorrà sapere cosa succederà, cosa nasconde Kate, come reagirà Marisa, il ruolo di Jake. Ma a questo libro, a mio avviso, mancano due cose: la cattiveria e la mancanza di una decisione precisa sul genere di romanzo che la scrittrice intendeva scrivere.

Mi spiego: troppo lunga la parte dedicata alla maternità o al desiderio di maternità, almeno che non sia quello il punto importante della storia

 “…trovava straordinario quanti diritti sentissero di avere gli estranei sul suo utero. La gente che aveva appena conosciuto immaginava di conoscere la sua età, le sue inclinazioni sessuali e le sue pulsioni materne. C’era un presupposto, implicito nella domanda, che tutte le donne dovessero desiderare di avere figlie  che quelle che non ne volevano avessero della lacune. Prima questa cosa la faceva infuriare. Ora la lasciava semplicemente inerte.”

e forse, almeno in parte, lo è anche, ma questo riesce a togliere al romanzo il mordente del thriller, dove le divagazioni (specialmente se troppo lunghe) non sempre sono gradite, dove la lentezza deve essere giustificata dall’attesa di un colpo di scena, di un’evoluzione, di uno spavento anche. Troppi inoltre i dettagli inutili (o che almeno io ho percepito come tali), come per esempio quelli relativi all’abbigliamento, che paiono solo ammiccare a un pubblico femminile e, direi, manco a quello… Insomma un romanzo di quasi quattrocento pagine che si sarebbe potuto risolvere con minimo cinquanta in meno.