Yoko Ogawa – Il Saggiatore – traduzione di Mimma de Petra
“Lavoravo già da qualche tempo come governante presso di lui, quando compresi che era una sua abitudine ricorre ai numeri al posto della parole quando si sentiva in imbarazzo e non sapeva cosa dire. Era il suo sistema per comunicare con il mondo esterno. I numeri erano la mano destra che tendeva verso gli altri per farsela stringere. Erano una sorta di cappotto protettivo, che nessuno sarebbe mai riuscito a fargli togliere, e così spesso e pesante da rendere impossibile intuire cosa si nascondesse sotto. Indossarlo gli permetteva almeno di sapere dove si trovasse.”
La formula del professore è un libro dove matematica e baseball hanno un ruolo importante, fondamentale. Io non sono una grande amante della matematica e non capisco un granché di baseball, anzi praticamente nulla, eppure di questo libro mi sono un poco innamorata. Ho voluto bene al professore, ho provato empatia con la protagonista e voce narrante, avrei voluto accarezzare la testa piatta di Rūto, il figlio della protagonista
«Tu sei Rūto, la radice quadrata. È un simbolo molto generoso, che accogli sotto di sé qualsiasi numero senza lamentarsi»
Ma partiamo dall’inizio: Il professore del titolo è, ovviamente, un professore di matematica o, meglio, lo è stato, perché a seguito di un brutto incidente stradale, ora la sua memoria dura solo ottanta minuti, poi dimentica tutto, così, come il protagonista di Memento (il famoso film di Christopher Nolan) è costretto a segnarsi le cose importanti da ricordare su foglietti che poi si appiccica sulla giacca. Vive recluso in casa e trascorre le giornate risolvendo teoremi matematici e parlando quasi esclusivamente di numeri
«È proprio così. L’unico pari tra i numeri primi è il 2. È come il primo battitore con il numero 1, l’uomo guida, è l’unico a essere in testa all’infinità di numeri primi, quello che trascina tutti gli altri»
«Ma non si sente solo?»
«Nient’affatto, non devi preoccuparti. Quando si sente solo, gli basta allontanarsi un po’ dal mondo dei numeri primi e andare in quello dei numeri pari, dove ha tanti amici. Per lui non c’è alcun problema»
La nostra voce narrante è la governante che di lui si deve prendere cura e che, con il tempo, inizia ad affezionarsi a quello strano, anziano uomo, al quale ogni mattina deve ricordare chi è. E poi c’è Rūto il bimbo di dieci anni che sarà unito dal professore dall’amore per il baseball e da Enatsu, il giocatore che porta sulla maglia il numero magico 28. Enatsu, che ormai non giochi più da anni. Ma questo il professore non deve saperlo…
Sì, questa è una storia dove compaiono teoremi di matematica e partite di baseball, ma è soprattutto una storia che parla di affetti, di legami, che nasconde una grande storia d’amore. È un romanzo fatto di numeri primi e numeri gemelli, ma anche di piccoli passi quotidiani, di cene preparate, di torte di compleanno e di mal di denti. Di radici quadrate e di un conto alla rovescia continuo: 80, 79,78… fino a quando tutto dovrà essere ripetuto, ricordato. Della consapevolezza che, da un momento all’altro, una volta “scaduta” la memoria quell’uomo potrebbe dimenticare proprio tutto
“Questa volta, però, la situazione era diversa da tutte le altre. Ciò che più mi faceva soffrire era che il professore non si sarebbe più ricordato di noi”
Un romanzo scritto con il tocco delicato della letteratura giapponese, capace di rendere magico anche il dettaglio del quotidiano. Un romanzo che commuove e ti fa venire la voglia di sederti accanto ai suoi protagonisti, su quella panchina (se leggerai il romanzo saprai quale), sotto un albero di ciliegio, mentre un bastone disegna sulla sabbia una sequenza di numeri.
Mi tornano alla mente le parole di uno studioso di matematica teorica dal nome complicato, che il professore mi aveva insegnato: «Dio esiste perché la matematica è priva di contraddizioni. Anche il diavolo esiste, perché non si riesce a dimostrarlo»

