Elisa Casseri – Fandango
“Succede sempre con la verità, che quando vieni a saperla ti sembra sbagliata, stupida, non abbastanza reale da poter sostenere tutto quello che ha generato”
Si dice che, in fondo, ci raccontiamo sempre le stesse storie; storie che parlano di amore, di amicizia, di tradimento, di vendetta. Che parlano di quella vita a volte noiosa, banale, a volte difficile e dolorosa. Quella vita che ci fa sorridere o piangere, fatta di legami, di famiglia, di rapporti. Insomma le storie sono sempre quelle, ma il punto in un romanzo è come quelle storie ci vengono raccontate.
Elisa Casseri sceglie di raccontarci quattro vite e di farlo legandole alle stagioni e ai processi della fioritura, ma anche alle stagioni della vita; di utilizzare termini botanici per parlare di legami. Ci descrive le varie forme della simbiosi.
Ci parla di ognuno dei suoi personaggi in modo diverso, li affronta utilizzando un punto di vista, una voce differente. E, a mio avviso, la forza di questo bel romanzo è proprio questa.
Quattro amici che si conoscono fin da bambini: Nicla e Caterina, amiche che si raccontano tutto o quasi almeno fino a quando la consapevolezza di una menzogna si insinua tra di loro. Quirino, detto Q, o Cu come lo chiama Nicla, l’eterno bugiardo, quello che potrebbe sembrare l’”oggetto” da contendersi, e Giorgio quello che pare essere il più centrato di tutti. Si amano in modo incrociato, si accoppiano in modo sbagliato forse, si perdono e si ritrovano negli anni.
Casseri parla con Nicla in seconda persona, a lei chiede, con lei cerca di capire, diventando a volte amica, a volte accusatrice o difensore
“Pessima madre, pessima figlia, pessima nipote: ecco cosa sei. Nonostante tutto, non hai ancora imparato a parlare di te, a condividere le difficoltà, a mostre il tuo dolore per metterlo di fianco a quello degli altri; in pratica, non hai ancora imparato a vivere”
Per Caterina sceglie la terza persona, prende le distanze non prendendole, sceglie di farcela vedere dal fuori, come quei segni che Caterina porta sul corpo, quei lacci stretti ai quali pare volersi aggrappare
“Una delle prime volte che Quirino l’aveva vista nuda, le aveva toccato i segni che aveva sulla pancia e sui fianchi, piccole cicatrici scure simili a timbri, e lei gli aveva spiegato che erano state le cinture che usava per i jeans: sua madre, ogni volta che la vedeva stringersi quelle cinghie intorno alla vita, le diceva: “Guarda che i pantaloni non ti vengono giù. Puoi pure respirare…”
Per Quirino la persona è la prima, Quirino si racconta, Quirino ha bisogno di essere visto dall’interno del suo essere confuso e, allo stesso tempo, lo scienziato del gruppo. Colui che forse sceglie e forse è scelto, colui che a un certo punto si perde.
“C’è un motivo per cui la pelle non è trasparente e noi non mettiamo davanti agli altri una perenne radiografia di noi stessi, un’analisi perpetua dei nostri funzionamenti interni e il motivo è che non è necessario”
E poi c’è la seconda persona plurale, quella usata per raccontare un Noi che è potente, è stato potente o può diventare potente
“Perché se c’è un’altra cosa che sappiamo è di essere in cattività, chiuse dentro una pozza d’acqua limitata da un vetro e allora vogliamo imparare come possiamo aiutarci per uscirne. Quando sei in un acquario, ti ci vuole un piano di fuga: noi siamo sempre state il nostro. Sapere che staremo insieme ogni giorno della nostra vita è la nostra salvezza”
E questo stile di Casseri mi ha fatto diventare amica di ognuno dei suoi personaggi (che ovviamente sono circondati da tutto un mondo), perché sullo sfondo (uno sfondo che sa essere anche invadente) ci sono le famiglie, a volte presenti a volte troppo impegnate a fare altro, famiglie allargate che riescono a ospitare anche chi ha tenuto nascosta per anni una menzogna, famiglie che, appunto, mentono.
E ci sono quelle menzogne, piccole e grandi, che prima o poi “tornano al pettine” come dicono gli anziani; quelle menzogne che a volte si è solo finto di ignorare e quelle che, una volta svelate, non fanno poi così male.
Perché le bugie, quelle del titolo, sono affrontate da Casseri come una parte della vita, necessaria a volte, dolorosa altre, silenti o confessate, ma comunque presenti, parte di quella botanica che permette il ciclo vitale.
E poi, dato che ogni storia, in fondo, è una storia d’amore e dato che la vita di amore (in ogni sua forma o negazione) è sempre pregno, ecco c’è anche l’amore. Quell’amore che mente, che fa mentire, ma che in qualche modo cerca sempre di irrompere
“Non tutti gli amori sono piante xerofite, tessuti succulenti, organismi che riescono a vivere in ambienti secchi, climi aridi, quotidianità che sembrano deserti. Noi non eravamo cactus, il nostro rapporto non era stato progettato per ridurre i consumi, per trasformare le foglie in spine pur di conservare l’acqua e difenderci. Non ci si pensa mai, ma le spine, in realtà, sono foglie e l’amore, se non si adatta, non riesce a sopravvivere.”
Ho raccontato poco della storia, lo so, ma de La botanica delle bugie io ho amato i quattro personaggi, ho amato i due Andrea, e ho amato (lo dico un’altra volta) il modo che Casseri ha scelto per raccontarci di loro.

