Irene Solà – Blackie – traduzione Stefania Maria Ciminelli
“L’uomo veniva da una casa lì vicino, arrampicata lungo il pendio, sopra a un fiume che doveva essere freddo perché si nascondeva tra gli alberi. Aveva lasciato lì due mucche, qualche maiale e alcune galline, un cane e dei gatti randagi, una moglie, due bambini e un vecchio. Si chiamava Domènec. Aveva un orto rigoglioso a metà montagna e dei terreni mal coltivati accanto al fiume, perché nell’orto lavorava il vecchio, che era suo padre e aveva la schiena piatta come una tavola e i terreni li coltivava lui. Era venuto da questa parte della montagna a provare dei versi, Domènec. Per vedere che gusto e che suono avessero, perché quando si è soli non c’è bisogno di recitare versi a bassa voce.”
Sono le nuvole a parlare, quelle stesse nuvole che un attimo dopo scateneranno il temporale e quel fulmine che sarà la morte di Domènec. Ma nel meraviglioso romanzo di Irene Solà non saranno solo le nuvole ad avere voce e parola, saranno, tra gli altri, gli umani: Sió la moglie di Domènec che si ritroverà a crescere da sola Hilari e Mia, sarà Hilari che scrive poesie come il padre, Mia che perderà per lo stesso incidente di caccia il fratello e il fidanzato (l’uno morto, l’altro in prigione), sarà quel capriolo che avrebbe dovuto ricevere il proiettile, ma anche un turista, gli abitanti del paese e le abitanti del bosco. Un orso. I vivi e i morti.
Solà fa parlare i suoi personaggi e la terra che li circonda, quella montagna che balla in una delle poesie di Hilari.
È una terra di confine lo sfondo di questa storia, sono quei Pirenei che dividono la Spagna dalla Francia. È un paese che pare perdersi in mezzo al bosco e lontano da quella città che viene poco nominata.
“Questo è il sentiero della ritirata. Lungo il quale fuggirono i repubblicani. Civili e soldati. In Francia. È una mattina umida. Respiro forte perché quest’aria pulita, bagnata e pura di montagna mi riempia i polmoni. Questo profumo di terra, di alberi e di mattino. Non mi stupisce che la gente quassù sia più buona, più autentica, più umana, se ogni giorno respira quest’aria. E beve l’acqua di questo fiume. E contempla ogni giorno la bellezza di queste montagne mitologiche che trafigge l’anima.”
E sono storie che si intersecano quelle che Solà ci racconta, storie che trovano punti di incontro e che spesso sono marchiate dalla tragedia, dal dolore, ma anche dalla bellezza di quei luoghi, di quella natura che in Io canto e la montagna balla pare prendere il sopravvento: un po’ come quando ci si dimentica di tagliare i cespugli ai margini di un sentiero e quei cespugli invadono, piano piano, tutto.
Luoghi che hanno ancora l’odore della guerra, della caccia, della morte, ma dove la vita si aggrappa a ciò che c’è a ciò che resta: che sia un ricordo, che sia un incontro, il desiderio
“Mia è fatta di un equilibro come quello della brace, che ti tranquillizza, ti fa tornare la voglia di ridere e di bere caffè, la voglia che arrivi l’estate, o l’autunno, o qualsiasi stagione debba arrivare. La sua faccia è come un albero, con due occhi come due coccinelle, e la sua bocca, silenziosa, e la pace che respira, finché all’improvviso dice qualcosa di acido, come se per tutto il tempo ci fosse stato un fuoco, là sotto, che io non avevo visto.”
Che sia l’ascolto di quei morti che a volte ritornano, che sia la voglia di perdonare o, semplicemente, di amare nonostante tutto
«Mi dispiace che tu non sei tornato e mi dispiace di aver sempre voluto che tornassi. Mi dispiace che Hilari sia morto per colpa tua e che questo mandasse tutto all’aria. Mi dispiace perdonarti, quando ti perdono. E mi dispiace non perdonarti, quando non ti perdono. E mi dispiace che a volte non basti dispiacersi, come a volte non basta amarsi.»
La scrittura di Irene Solà è evocativa, poetica e trascinante, non sempre facile certo, come non lo è la struttura narrativa, tanto che il lettore sembra dover fare un passo indietro per avere una visione dell’insieme e osservare il quadro completo. E quadro credo sia proprio la parola esatta per descrivere questo romanzo: un insieme di colori, di presenze, di luci e ombre. Ma anche di assenze.
Io canto e la montagna balla è stata una delle due proposte di Libreria I Baffi di Milano e la scelta di Libreria La Ciurma di Como nella sedicesima puntata di #edopocosaleggo

