Il vicino

Marina Vujčić – Bottega Errante – traduzione di Estera Miočić

“Di solito non bado ai vicini. Sì, li saluto quando ci incrociamo, ma evito di andare oltre, di intrattenermi e cose simili. Sono perlopiù persone con famiglie o anziani che ricevono visite di figli la domenica e nei giorni festivi. Questi a loro volta portano dietro bambini, mariti o moglie e c’è sempre un gran chiasso sulle scale. Troppa gente, per me. Non penso di avere nulla in comune con loro, a parte l’indirizzo, e allora che senso avrebbe conoscerli? Noi due invece siamo un’altra storia. Siamo soli, e quasi nessuno ci viene a trovare. Solo dopo il quinto o sesto “buongiorno” ho pensato che non fosse un caso che ci incrociassimo sulle scale ogni mattina.”

Katarina (non chiamatela Kata, non lo gradirebbe) è una donna di poco meno di quarant’anni, vive sola in un condominio e ogni mattina prende l’autobus che la porta sul luogo di lavoro: l’ufficio di collocamento. Un giorno inizia a notare un vicino di casa, il vicino che abita due piani sotto il suo appartamento (esattamente due piani,) e inizia a sviluppare una sorta di ossessione nei suo confronti: lo osserva, sincronizza i suo orari con quelli di lui, controlla se è casa o meno basandosi sulla presenza della sua macchina in parcheggio. Parla con lui, ma solo nella sua testa, perché tra di loro c’è solo il “buongiorno” di ogni giorno feriale, quando si incontrano sulle scale

“Certo, a volte penso che è un peccato che tu sia sotto da solo, e io qua sopra. Che siamo verticali e non orizzontali. Potremmo stare meglio. Potremmo cenare insieme, vedere un film, lavare la schiena l’uno all’altra.”

Così la vita di Katarina cambia: inizia a detestare i giorni di non lavoro, inizia a vivere in funzione di quella presenza che diventa sempre più invadente, più presente, più ossessiva. Fa la spesa pensando a lui, si veste pensando a lui, racconta a lui ciò che le succede o le è successo.

Ma a un certo punto le cose cambiano: perché poi Katarina arriverà a un punto in cui dovrà fare i conti con la realtà (o con quella che crede essere la realtà)

“Hai ucciso il nostro lieto fine, come se non me l’avessi fatto intravedere”

E dovrà cercare un modo per riscattare se stessa, e non solo da quel vicino che nemmeno sa di averla ferita

“Si potrebbe dire che questa mattina, signor Kovac, ho capito quanto lei influenzi la mia vita quotidiana.
Mi devo liberare di te per capire quanto tu sia presente: non ti sembra ridicolo tutto questo?”

ma da tutte quelle angherie che la vita le ha riservato. Da tutto ciò che le è stato portato via: Katerina dovrà trovare un modo per rivendicare la sua presenza.

Mi fermo qui, perché Il vicino è uno di quei romanzi che deve riservare colpi di scena al suo lettore. Ed è una di quelle letture capace di tenerti lì, incollata alla pagina, dentro a quella mente che mi ha fatto subito pensare a ling e alla sua Kate di Misery. Misery che, a sorpresa, ho anche ritrovato tra le pagine di questa storia

“Quando stasera ho preso il telecomando e “casualmente” ho messo sul primo canale, stava iniziando Misery non deve morire, un film molto interessante, se non lo hai ancora visto.”

Marina Vujčić ci regala un romanzo claustrofobico e carico di tensione; ci fa entrare nella testa della sua protagonista, perché tutta la vicenda, che ha come sfondo un appartamento, le scale di un condominio e poco più, in realtà si svolge dentro i pensieri di Katarina, dentro quel dialogo che ha un interlocutore che non può ascoltare. Che nemmeno sa di dover ascoltare.

Un romanzo che, anche se declinato all’ossessione, parla di quella solitudine che può accompagnare quando si chiude la porta di casa e si sa che oltre quella porta non c’è nessuno ad attenderci, e di come, a volte, ci si attacca a un segnale (vero o immaginario) per concederci un’illusione, una speranza, quell’amore che crediamo di meritare.

Un romanzo con un finale che non ti aspetti proprio…

Aggiungo solo che, se non lo avete già fatto, vi consiglio di leggere anche il precedente romanzo di Marina Vujčić pubblicato da Bottega Errante: Una questione di pelle. Splendido!