Marianna Crasto – Effequ
“Dov’eri, di che segno sei.
Non c’è niente di nuovo nella necessità di ognuno di mappare le coordinate scelte da tutti gli altri per la sera del 29 febbraio, perché è sempre stato il solo modo per capire il senso della tradizione in cui siamo gettati a forza, saggiarne la direzione emotiva, misurare il peso del nostro passaggio.
Il ragazzo di DolceKasa infatti continua a chiedermelo, e mi racconta i particolari del suo 29 febbraio sperando che io decida di raccontargli i miei, ma io ero solo stesa sul pavimento impolverato mentre le finestre dei collegamenti si moltiplicavano sullo schermo del televisore.”
Il 29 febbraio la televisione annuncia che la fine del mondo è imminente, ad annunciarlo è Tito Stagno. E quel giorno diventa linea di demarcazione fra un prima e un dopo. Un prima dove si poteva continuare a vivere una vita senza farsi troppe domande, e un dopo dove ha un senso chiedersi come vuoi passare gli ultimi giorni su questa terra. Con chi vuoi passarli
“È vero che a volte ci ripenso, ma solo se sono molto stanca, quando guardo per troppe ore un documentario sulla Groenlandia, o quando evacuavano Venezia, lì ci ho pensato parecchio se non sarebbe stato utile farsi compagnia in qualche modo – e se non utile, almeno bello.”
Alcuni scelgono di comprare caffè e tè (mentre le scorte stanno per finire) per poter rimanere svegli, per non perdere nemmeno un minuto di quanto resta loro da vivere, altri scelgono di ricucire o rivalutare un rapporto, o forse solo di non affrontare da soli il momento, e partono per il giro del mondo. Altri continuano a vivere la loro vita, perché forse qualcuno deve fare anche questo.
La nostra protagonista è alle prese con la cassa del supermercato dove lavora, ma soprattutto con una relazione appena nata con il ragazzo di DolceKasa, una relazione nella quale lei sembra essere quella inseguita e lui l’inseguitore, dove lei sembra sempre voler restare un passo indietro. Lavorano al Magna Grecia un centro commerciale nella periferia napoletana, si incontrano alla pausa pranzo: stessi gesti che si ripetono giorno dopo giorno, nonostante la fine imminente. Si stanno ancora conoscendo loro
“Scopri che pagherei le scatolette di tonno che un anziano s’è fatto scivolare nella tasca del cappotto.
Scopro che non pagheresti di tasca tua nessuno degli articoli in vendita da DolceKasa, se qualcuno li rubasse. Per la natura stessa dei prodotti, dici, non puoi aver bisogno di un gancio a forma di gufo per appendere lo strofinaccio in cucina.
Scopri che a dodici anni rubai un temperamatite e una volta a casa lo riposi in mezzo alla cancelleria conservata nel cassetto della scrivania di mio padre.
Scopro che non caricheresti un ragazzo che fa l’autostop, ma che caricheresti una suora che fa l’autostop perché il tuo film preferito da bambino era Tutti insieme appassionatamente, e non sai mai cosa sta capitando a una suora.
[…]
Ogni mercoledì, per un anno, giochiamo.”
Marianna Crasto ci racconta “un’inesorabile storia d’amore”, ma anche la necessità di condividere, di non trovarsi da soli sdraiati su un pavimento ad attendere la fine. Ci parla anche delle difficoltà delle relazioni, in un mondo dove non c’è più tempo per provare ad avvicinarsi, a capirsi, dove il conto alla rovescia impedisce di perdere tempo a pensare.
La sua è una storia fatta del surreale della normalità: di cravatte di Tito Stagno postate su Instagram, di programmi televisivi dove si raccontano i sogni, di carrelli pieni dello stesso identico prodotto e di videochiamate fatte mentre si è dall’altra parte del mondo.
Ed è un racconto in prima persona Il senso della fine, fatto da una ragazza che continua a guardarsi dall’esterno, per cercare di capire, per cercare di trovare la direzione forse o la risposta a come vuole vivere questi ultimi giorni. Una ragazza che ogni giorno, prima di scendere nel mondo vero, quel mondo lo osserva da Google Maps, quasi a cercare le coordinate o, forse, solo a sentirsi al di sopra, fuori da quel mondo
“Il ragazzo di DolceKasa una volta mi ha detto che il mondo si divide tra quelli che la notte del 29 febbraio volevano vedere una faccia e quelli che non volevano vedere nessuno. Non c’era la terza scatola perché le due principali avevano già a che veder con chi parlava e con chi ascoltava, e bastava così”

