Jocelyne Saucier – Iperborea – traduzione Luciana Cisbani
“… vogliamo tutti tornare a Norco, vogliamo tornare al tumulto della nostra vita, capire quello che eravamo, quello che siamo diventati e, soprattutto, vorremmo risolvere l’enigma dei nostri genitori. Nostro padre, figura sbiadita dell’uomo che era veramente e che non ci ha mai dato modo di conoscere, tiranneggiato com’era dall’ossessione della miniera. Nostra madre, al contrario sempre presente, sempre in cucina, persa tra lo sbatacchiare delle pentole e i vapori delle cotture; lei, che a furia di esserci è diventata invisibile per noi.”
Se avete sempre pensate che gli otto figli della famiglia Bradford fossero tanti, troppi, non avete ancora conosciuto i Cardinal. Loro sono ventuno, ventitre se contiamo mamma e papà, sono canadesi e hanno vissuto a Norco un paese minerario canadese, un paese che ha visto chiudere la miniera per poi spopolarsi. Parlo al passato perché qualcosa è successo alla famiglia Cardinal, un qualcosa che ha portato parte dei ventuno figli a disperdersi per il mondo, nel tentativo di dimenticare o, forse, solo di crescere lontano da quello che sono stati.
Ma ora i Cardinal hanno un motivo per ricongiungersi: un premio che il padre deve ritirare.
“Erano passati parecchi anni da quel pomeriggio di luglio. Solo pochi di noi continuavano a frequentarsi, la diaspora Cardinal ormai era iniziata. Émilien in Australia, Fachiro a Vancouver, Zamipillo da qualche parte in Sudamerica, senza contare Geronimo, Tafano, Mahatma e Tutank, di cui non avevamo più notizie da molto tempo”
I Cardinal che ci racconta Jocelyne Saucier non hanno nulla a che vedere con i Bradford, e non solo per “quantità”. Certo hanno i loro ricordi comuni, il loro lessico familiare,
“Nemmicamicia, Nemmistivali, Nemmipenna, Nemmicarabina, Nemmicornflakes. Un modo davvero fragile di preservare un diritto di proprietà in una casa dove niente, assolutamente niente, nemmeno il posto in cui dormire, ci era assegnato in maniera personale. Dormivamo nel primo letto libero e ci vestivamo con quello che trovavamo nelle pigne di vestiti che si ammonticchiavano nella mia sala del bucato…”
I giorni trascorsi in quella casa enorme che pare essere un labirinto. I giochi e le liti tra fratelli, le gerarchie e le divisioni tra grandi e piccoli, i pasti condivisi e cucinati da una madre che pare essere sempre dietro ai fornelli. Ma i Cardinal, oltre al segreto che già dal titolo sappiamo esserci, hanno la loro infelicità
«Nella nostra famiglia la felicità non è mai stata contemplata. E adesso non possiamo rimpiangere di non averla conosciuta.»
Il segreto dei Cardinal è una storia familiare, ovviamente, come potrebbe non esserlo. Una storia che Saucier sceglie di raccontarci attraverso le voci dei suoi protagonisti: ognuno ci dà la sua versione dei fatti, ognuno aggiunge un tassello, svela qualcosa in più che conduce non solo il lettore ma la famiglia tutta verso lo svelamento finale.
E, certo, è una storia di rapporti, della difficoltà di quei rapporti, una storia che parla di rancori e di nostalgia, di quel non detto che avrebbe avuto bisogno di essere detto; ma è anche una storia di miniera e di dinamite.
“Compivo sette anni, l’età della ragione, l’età che nostro padre sceglieva per avviarci all’uso della dinamite.
[…]
«Hai paura?»
Aveva il suo solito mezzo sorrisetto e io, troppo bambinetto per leggerci il segno di una complicità maschile, ho creduto di dove fare l’uomo e ho risposto di no.
«Dovresti. Se non hai paura della dinamite, sei un uomo morto. Io ho ancora oggi più paura della dinamite che degli avvocati. E questo mi ha salvato la vita parecchie volte. È importante, la paura.»”
Se Jocelyne Suacer con Piovevano uccelli (se non lo avete letto ancora, cosa aspettate?) ci aveva regalato un libro carezza, un antidoto capace di sconfiggere l’amarezza di una giornata sbagliata; qua ci lascia una sensazione di amarezza, la stessa dei Cardinal davanti a quella verità che forse non conoscevano fino in fondo, in ogni dettaglio. Una storia dolorosa che ha la potenza di un’esplosione di dinamite.

