Il sari verde

Ananda Devi – Utopia – traduzione Giuseppe G. Allegri

“Era una sorgente scarlatta che mi travolgeva e impediva ogni ritegno, sporcandomi la bocca con quel suo sapore magnifico, Non potevo picchiare la bimba per farla tacere, picchiavo allora la madre. Era normale. Nulla di cui vergognarsi. Solo molto più tardi gli uomini sono diventati dei rammolliti e le donne hanno ottenuto dei diritti.
Quello che non era normale, invece, era che lei rifiutasse l’ordine stabilito e ingaggiasse contro di me una guerra silenziosa.”


Ananda Devi scrive una storia di violenza domestica e sceglie di farlo, lei donna, attraverso lo sguardo del marito violento. Di un uomo che, senza alcun ritegno né vergogna, ci racconta il suo modo di sentire, il suo modo di pensare, di essere. Un uomo che non cerca una giustificazione, perché convinto di essere dalla parte della ragione

 
“Violenza? Forse era lei a esigerla. Perché non è cambiata, dato che le avrebbe permesso di evitare le botte?”
 


L’autrice mauriziana ci racconta quell’uomo, il dio Dockter, vecchio e malato, assistito dalla figlia incapace di disobbedire e dalla nipote, chiamata dalla madre al capezzale del nonno in cerca di sostegno, di aiuto o, forse, solo di condivisione.
 


“Lui è qui.
Lui, chi?
Sai bene chi.”
 


Entrambe vogliono conoscere una verità sul passato, una verità che forse loro (e noi lettori) già sappiamo.
 
Ananda Devi ci racconta un uomo, che fuori dalla porta di casa è un rispettabile (forse non sempre) dottore, che salva vite o ci prova, che si crede un dio. Un uomo che quando si chiude la porta di case alle spalle vuole continuare a essere venerato, ubbidito, ma forse non solo
 


“Il domatore non scende a patti né con i cani né con le belve. Il suo amore è più prezioso. Il suo è un dono che resiste a tutto, perché le punizioni inflitte per ogni mancanza, per correggere i difetti altrui non sono altro che ulteriori prove, altrimenti, se non fosse per amore, perché mai perdere tutto quel tempo e quell’energia per cercare di correggere l’altra che si ama, che si vorrebbe perfetta, che si vorrebbe scolpita in un legno raro e prezioso[…], perché mai, dopo la fatica di una lunga giornata, consacrare tanta energia a quella creatura imperfetta se non la si amasse?”

 

Un uomo che ha sposato una donna (poco più di una ragazzina) bella, una donna da ammirare e con la quale farsi ammirare. Una donna con una risata preziosa, che in un attimo diventa una risata capace di farlo vergognare. Una donna che se per sbaglio lo sfiora in pubblico può metterlo in imbarazzo. Una donna che non è capace di occuparsi della casa e di lui come lui vorrebbe. Una donna che lui dice di amare


“Naturalmente, dopo aver picchiato qualcuno che si ama, è normale avere voglia di farsi perdonare. Normale avere voglia di lenire il rossore e il bruciore della pelle con una carezza, un bacio. L’altra però si sente più forte e pensa che quelle scuse siano un pagherò. Il mio rammarico, però, non significa che giudicassi la mia violenza eccessiva. Era solo un modo di dirle che, nonostante la collera da lei provocata, la amavo ugualmente. “


Una donna che ha tutte le colpe e che gli regalerà solo una figlia femmina. Un’altra donna…


“… tesorucce belle, siete voi a non capire niente degli uomini se pensate di poterli sottomettere, siete voi che passate la vita ad aspettare che diventino delle donne per poi respingerli meglio, siete voi a volerne fare l’oggetto del vostro disprezzo quando invece sono loro l’oggetto delle vostre voglie, delle vostre gelosie, delle vostre ostilità e dei vostri desideri senza fine!”


È dolorosamente bello il romanzo di Ananda Devi, lo è dalla prima pagina dove ci avverte su cosa incontreremo continuando a leggere


“Se pensate di uscire di qui con la pancia che gorgoglia di buoni sentimenti, avete sbagliato porta”


A quell’ultima frase che, letta da sola, ci potrebbe parere ovvia e scontata, ma che arrivando dopo tutta la narrazione è semplicemente perfetta e capace di risuonarti per giorni nella testa.
Ananda Devi riesce a denunciare con le sue parole, anzi riesce a denunciare utilizzando le parole del carnefice.


“Il sari verde sa tutto. Adesso mi si attorciglia al collo e tira, tira. Non sono più il burattinaio. Sono il burattino spezzato.”.