Ho incontrato una donna vestita di rosa. Aveva i capelli bianchi, un cane al guinzaglio, e ogni dettaglio di un rosa confetto. Tutto, tranne una leggera fantasia che colorava la sua casacca.
Ho pensato che, in pigiama, fosse scesa un attimo per portare il cagnolino a fare una passeggiata, ma poi quando le sono passata accanto ho visto che quella donna era solo elegante. Rosa ed elegante.
Mi sono detta che il rosa non è un colore facile da indossare, almeno che tu non abbia l’età della Barbie e delle principesse, ma che a quella donna il rosa stava in modo meraviglioso. Il rosa è un colore che bisogna saper portare, essere il tipo per farlo. Un poco come il giallo.
Io non sono mai stata tipo da rosa, come non sono mai stata tipo da giallo. Ma nemmeno da tacchi, ho un’indole troppo imbranata per quelli io: aspiro al comodo, al pratico. Il tacco alto rallenta, rende tutto così precario, così a rischio. Il tacco alto mi fa sentire sul posto sbagliato, mi fa sentire diversa da quello che sono. Così come una scollatura o un reggiseno imbottito mi fanno sentire troppo esposta, troppo strana.
Quando scrivo inserisco qua e là un forse, un magari, un secondo me, temendo di incontrare qualcuno che sottolinei un mio errore, un mio azzardo. Temendo di cadere da quei tacchi che non porto più, temendo di essere smascherata, di essere additata come impostora, di essere accusata di indossare un reggiseno imbottito.
Qualche giorno fa mi hanno detto: togli ogni forse e ogni condizionale. Tu sai, tu sei, tu hai delle competenze che altri non hanno. Falle uscire, non rimanere un passo indietro. Sii meno umile.
E così ora sto cancellando ogni forse, limando ogni dubbio, cercando di salire su tacchi per emergere un pochino di più.
E non saranno tacchi dodici, certo, da lì non potrei che slogarmi una caviglia, ma magari un tacco sei riuscirò a raggiungerlo. Intanto continuo a lavorarci, a combattere con la maledetta sindrome da impostore e, nel mentre, immagino il giorno che mi vedrà indossare qualcosa di rosa. Di molto rosa.