Mi chiede un libro che parla di un viaggio o di una solitudine. O forse di un viaggio in solitudine. Mi dice il titolo, ma in libreria non c’è. Mi dice che proverà a vedere altrove e, nel mentre, mi chiede un altro libro: pronuncia il titolo in una lingua che non è né la mia né la sua. Me lo ha consigliato un mio amico francese, dice, ma forse non è mai stato tradotto.
Sono portoghese, aggiunge, sono appena rientrato da un viaggio in Perù. Ero in mezzo alla giungla, mi racconta appoggiandosi al muro. Lo guardo e faccio qualche domanda, lui mi parla di una sciamana e di un’esperienza con una sostanza della quale non ricordo più il nome. Nomina qualcosa che credo essere un’erba o una polvere o entrambe le cose.
Mi dice che quella sostanza gli ha fatto fare un viaggio dentro a se stesso e che con se stesso è riuscito a fare pace anche. Mi racconta di una sua colpa non recente, di una moglie e di figli che ha abbandonato per viaggiare, per partire con un’altra donna.
Ha un accento accattivante e un sorriso che ti fa pensare sia stata e sia la sua arma di seduzione. Mi dice che sta cercando di scrivere un libro su quell’esperienza peruviana, racconta che lui è ingegnere ma che comunque vuole provare a scrivere. Aggiunge che, in fondo, ci ha già provato con qualche racconto. Mi chiede se gli consiglio un libro e io che, coincidenza, un libro che parla di viaggio in solitaria l’ho appena finito e gliene parlo. È una donna la viaggiatrice di questa storia, gli dico, poi aggiungo qualche dettaglio.
Gli auguro buona fortuna per il libro che scriverà, ma anche per la vita tutta,
lui infila il suo acquisto nello zaino e poi se ne va, salutandomi con quel suo sorriso…

