Il mio padrone, il mio vincitore

François-Henri Désérable – La nave di Teseo – traduzione Fabrizio Ascari

“Nelle pagine seguenti c’erano delle poesie. Ecco che cosa avevano ritrovato addosso a Vasco: il revolver, un quaderno con una ventina di poesie e, in seguito, dopo la perizia balistica, tracce di polvere da sparo sulle mani. Ecco cosa restava, ho pensato, della sua storia d’amore.”

Una pistola in copertina, una pistola nelle primissime pagine del romanzo e noi lettori sappiamo che quando una pistola compare sulla scena, quella pistola prima o poi dovrà sparare. In questo caso poi, tutto è già successo, anche se il lettore non sa bene cosa, ma qualcosa è successo e un qualcosa che ha come conseguenza un’indagine, un giudice, un cancelliere, delle prove, degli indizi e un testimone.

Il testimone è il nostro narratore, colui che conosce i fatti, ma che decide di raccontarne una parte al giudice il resto a noi e comunque di immaginare  quella parte della storia che nemmeno lui conosce.

“Si conoscevano ormai da quasi due mesi, e io ero diventato il confidente dell’uno e il confessore dell’altra, lo storiografo del loro amore; poiché era proprio di amore che si trattava, delle vertigini inebrianti dell’amore ai suoi inizi: le vigilie dei giorni in cui dovevano vedersi erano deliziose per i domani che promettevano, e i domani dei giorni in cui si erano visti per i ricordi della vigilia”

Perché questa è anche, e soprattutto, una storia d’amore che, come tutte le storie d’amore più belle della letteratura, è un amore ostacolato, un amore che non deve essere. È la storia di un uomo (Vasco) e una donna (Tina) che si incontrano e vengono travolti da una passione che, anche se faranno fatica ad ammetterlo, non solo passione è, diventa amore, ossessione anche, qualcosa del quale sembra impossibile fare a meno, liberarsene.

“A Vasco piacevano solo le brune o le bionde, invece i capelli di Tina erano di un castano ramato, con riflessi mogano. A Tina piacevano solo i ragazzi con gli occhi verdi, e quelli di Vasco erano blu, con un tocco di marrone. Lei non era affatto il suo genere: lui non era mai stato il suo. Non avevano niente per piacersi l’un l’altra; eppure si piacquero, si amarono, soffrirono per essersi amati, smisero di amarsi, soffrirono per avere smesso di amarsi, si ritrovarono e si lasciarono definitivamente, ma non corriamo troppo.”

Ma ciò che rende speciale questo romanzo e (a mio avviso) da leggere, è il modo in cui questa storia viene raccontata, la scelta di fare della poesia il terzo personaggio principale della vicenda, il leitmotiv, quasi a renderla galeotta, complice e artefice di questa storia d’amore sbagliata (ammesso che esistano storie d’amore sbagliate…). Qua la poesia è ovunque: in quel diario dove il giudice cerca indizi, nell’albergo dove i due amanti si incontrano e nella pistola (sì, anche la pistola è collegata alla poesia!)

“E anche se è antracite nella vita vera, quel giubbotto, se è beige nella poesia, ebbene significa che è beige, perché la poesia prevale sulla vita vera. E, del resto, chi ci dice che fosse verde il tavolo della Locanda verde di Rimbaud? Ognuno sa che la maggior parte dei tavolini a quell’epoca erano di quercia, e ognuno sa che la quercia non è verde ma marrone, di un marrone piuttosto chiaro. Ma poiché Rimbaud lo ha visto verde, è cosi che oggi lo vediamo noi.”