Il mio albero di arance dolci

José Mauro de Vasconcelos – Blackie edizioni – traduzione Annabella Campanozzi

“Nella nostra vita c’è un tempo di tutto Tempo di biglie. Tempo di trottole. Tempo di collezionare figurine di attori del cinema. Tempo di aquiloni, il migliore di tutti i tempi. Il cielo era tappezzato di aquiloni multicolori. Aquiloni belli, di tutte le fogge. Era la guerra nell’aria. Le testate, le lotte, i nodi scorsoi e i fili tagliati.
Le lamette facevano il loro dovere ed ecco là un aquilone che rotolava nello spazio ingarbugliando i fili delle briglie con la coda ormai instabile. Era fantastico. Il mondo diventava solo dei bambini nella strada. Di tutte le strade di Bangu.”

Questa è la storia di Zezé e, molto probabilmente, è anche la storia di De Vasconcelos; è la storia di un bimbo brasiliano che vive nelle favelas e che è dotato di una grande immaginazione. Un bimbo che per proteggersi dalla miseria e dallo squallore si è creato un suo mondo di fantasia, dove si inventa delle storie, parla e cavalca il suo albero delle arance con quegli speroni che vede indossati al cinema

“Tirai Gloria per la gonna.
«Non c’era più niente.»
«Non sai cercare bene. Aspetta lì che ti trovo un albero.»
E subito dopo venne con me. Esaminò gli aranci.
«Non ti piace quello? Guarda che è un bell’arancio.»
Non me ne piaceva nessuno. Né quello, né quello, né nessun altro. Avevano tutti un sacco di spine. »
«Se è per tenermi queste schifezze, allora preferisco l’albero di arance dolci.»”

È la storia di un bimbo troppo monello, tanto che per lui a Natale nasce il bambino diavolo (o così gli raccontano), un bimbo intelligente e troppo sensibile, ma che non riesce a frenare la sua esuberanza tanto attirarsi punizioni fatte di botte che lasciano il segno

“La cintura scudisciava con una fora dannata sul mio corpo. Sembrava che avesse mille dita che mi colpivano ovunque. Caddi, e mi rannicchia in un canto. Ero certo che mi avrebbe ammazzato sul serio. Riuscii a stento a dure la voce di Gloria che entrava per salvarmi. Gloria, l’unica bionda come me. Gloria, che nessuno toccava. Afferrò la mano di papà e bloccò il colpo.”

Ma un bimbo che incontrerà il dolore vero, quello che va oltre il dolore fisico, quello che forse lo farà crescere troppo presto

 “Adesso sapevo cosa fosse il dolore. Il dolore non era prenderle fino a svenire. Non era tagliarsi il piede con un coccio di vetro e farsi mettere i punti in farmacia. Il dolore era così, faceva male al cuore intero, tanto da morirci, senza poter condividere quel segreto con nessuno. Un dolore che prostrava le braccia, la testa, fiaccando perfino il desiderio di voltare il capo sul cuscino.”

Una storia dolce e struggente, un personaggio che vorresti abbracciare stretto, fargli un regalo per Natale, ascoltarlo raccontare di uccellini e alberi che gli parlano, vederlo sorridere e dirgli che andrà tutto bene, che tutto passerà, pur sapendo che non è proprio così. Non sempre…

“Oggi sono io che tento di distribuire biglie e figurine, perché la vita senza tenerezza non è un granché.”