Il matto di piazza della Libertà

Hassan Blasim – Utopia – traduzione Barbara Teresi

Io ero, allora, in fuga dall’inferno degli anni dell’embargo. Non per paura della fame, né del dittatore. Ero, piuttosto, in fuga da me stesso. E da altri mostri. In quegli anni spietati, la paura dell’ignoto era aumentata a dismisura, estirpando dagli esseri umani il senso di appartenenza alla realtà consueta, e riportando in superficie una bestialità che fino ad allora era rimasta sepolta sotto i semplici bisogni quotidiani. In quegli anni una crudeltà abietta e animalesca, generata dalla paura di morire di fame, aveva preso il sopravvento. Io sentivo che stavo correndo l rischio di trasformarmi in un topo.”
(il camion per Berlino)

Leggendo Hassan Blasim hai la sensazione di leggere bene, di leggere letteratura. Hai anche la sensazione di non capire (di non dover capire) tutto, ma anche che vada bene così, che non sia necessario capire proprio tutto.

I racconti di questa sua raccolta sono racconti che parlano di guerra, di fuga, di profughi,

“Ogni ospite del centro di accoglienza per profughi ha due storie: una vera e un’altra per l’archivio. Le storie per l’archivio sono quelle che i nuovi rifugiati raccontano affinché venga loro riconosciuto il diritto all’asilo umanitario. Queste storie vengono trascritte dall’ufficio immigrazione custodite in fascicoli riservati. Le storie vere, invece, rimangono imprigionate nei cuori dei rifugiati che, segretamente, ne custodiscono il ricordo.”
(L’archivio e la realtà)

ma anche di vita, credo, e di quella pazzia che troviamo già in quel titolo che è anche titolo di uno dei racconti.

Sono i temi dell’Iraq mi viene da dire, sbagliando forse, perché ormai per noi alcune terre hanno quasi il dovere di parlarci di dolore, della ferocia, di vite sfortunate solo perché sono nate in un determinato luogo.

Blasim aggiunge un tocco di irrealtà ai suoi racconti, un elemento che pare volerti dire chissà come in fondo è andata la cosa: chissà se quell’atrocità è colpa dell’uomo, del diavolo o di un animale feroce (come nel racconto Il camion per Berlino, dove il lettore fa sua l’attesa, la paura, l’impotenza di quei profughi in fuga)

“Per essere contrabbandati c’erano vari modi, in base al prezzo: si poteva viaggiare in aereo con un passaporto falso, cosa che però costava tantissimo, o camminare insieme al contrabbandiere attraverso foreste e fiumi di confine, e questo era il sistema più economico; c’era la via del mare, e quella dei camion. Io avevo pensato a quest’ultima, malgrado mi preoccupasse la storia di quel dispositivo che la polizia usa per misurare l’anidride carbonica dentro i rimorchi e individuare così il respiro di chi ci si nasconde. Ma non è stato quell’apparecchio a farmi desistere dall’idea del viaggio, bensì la storia di Alì l’afgano e del massacro sul camion per Berlino.”
(Il camion per Berlino)

E ci sono racconti dove Blasim ci fa annusare la guerra o la violenza, la morte, restituendoci una storia che lancia un urlo, ma lo fa con i toni della letteratura. Come in Un giornale militare (il mio racconto preferito), dedicato alle vittime della guerra tra Iraq e Iran, dove la voce di un morto, ma forse quella di ogni morto in guerra, trova un modo per tornare, per non farsi dimenticare, per farsi ascoltare.

Oppure con l’ironia (almeno io l’ho interpretata così) di un uomo che si sveglia con un sorriso stampato in viso e di quel sorriso non riesce più a liberarsi, fino a doverne pagare le conseguenze. Metafora del fatto che non bisogna ridere, essere felici? O presa in giro di quella vita incapace di regalare felicità? O forse semplicemente desiderio di trovare il bello nella vita, anche se forse non se ne avrebbe il diritto

“La neve fioccava danzano. Era meravigliosa Per la prima volta il cielo si mostrava così generoso con me, elargendomi tutti quei gioielli. Di sensazioni del genere ne avevo già provate in passato. Ti svegli, senti l’odore del mattino e pensi:
“La vita mi va ancora a genio!”
(Quel sorriso nefasto)

E ogni racconto è corredato da una scrittura che riesce nella sua bellezza a renderci quasi sopportabili alcune delle atrocità che ci sta raccontando. Una scrittura che è, appunto, letteratura e la letteratura può raccontarci ogni cosa, anche di un innamorato che arriva a mangiare le dita della sua amata.