Sigal Samuel – Keller editore – traduzione Elvira Grassi
“Poi ho pensato che per mesi l’avevo visto a ricreazione sempre con gli occhi incollati alle pagine di un libro e per tutto quel tempo avevo pensato che gli piacevano sul serio le cose che leggeva. Ma non è che invece gli piaceva il modo in cui il mondo diventava tutto sfocato ai lati? Sapevo che era possibile, se trovi la giusta angolazione, sbirciare con la cosa dell’occhio in modo che tutto quanto intorno a te appare luminoso. Strizzi gli occhi. Hai pazienza. Pieghi la testa a sinistra e aspetti.”
Dice (pensa) cose così Lev il primo protagonista de I mistici di Mile End. È il Lev bambino, il Lev che si è ritrovato senza una mamma e con un papà distratto, assente, perso in altro, un papà che conserva ancora il profumo della moglie e se lo spruzza sui polsi quando la tristezza è troppa. E una sorella che adora e con la quale condivide linguaggio e tristezza. Scrive liste Lev, sul diario che la Signorina Davidson ha consegnato loro come compito
“… ho aggiunto il decimo motivo per la tristezza di mia sorella. È una di quelle cose talmente ovvie che non si ci puoi credere che non ci hai pensato prima. Nessuno le dice a che ora deve andare a letto, ho scritto. Poi mi sono addormentato”
Ma Lev poi cresce e la storia prosegue con gli occhi di papà David e di Samara, quella sorella dalle tante tristezze. Ma anche attraverso gli occhi di personaggi secondari, ma che forse secondari sono solo perché non si raccontano, ma si lasciano raccontare.
È difficile descrivere questo romanzo e, personalmente, preferisco ricordare le emozioni che mi ha lasciato. È una carezza I mistici di Mile End, ma non solo. È un romanzo di quelli che riescono ad avvolgerti, come lo farebbe l’abbraccio di un amico (e qua l’amicizia e l’affetto hanno un posto d’onore. E, certo, anche l’amore nelle sue diverse forme), a farti commuovere, ma anche a portarti all’interno del misticismo ebraico (un mondo a me sconosciuto), all’astronomia, alla matematica.
È un romanzo che nutre sia la mente che il cuore.
A Mile End sembra che tutti cerchino qualcosa. Qualcosa di perduto, di mai trovato o, forse, di non capito. Sembra che tutti cerchino un senso all’assurdità della vita. E che ognuno lo faccia a suo modo. È un romanzo che parla di tristezze, ma anche di felicità, o almeno della sua ricerca.
Un romanzo che ami dal primo risvolto di copertina (anzi direi proprio dalla copertina. Keller è davvero grandiosa in questo!), ma attenzione, se come me non amate sapere troppo della storia e preferite scoprirla per conto vostro, non leggete la trama raccontata sul secondo risvolto
Vi lascio con un’ultima citazione, ma ho sottolineato interi passaggi di questo piccolo/grande gioiello
“Mentre seguivo i suoi colori mi chiedevo se quello fosse amore. La capacità di scoprire l’umore della persona amata in ogni cosa, in un gatto randagio o in una molecola vagante, settimane dopo che lei ci era entrata in contatto.”

