Gloria

Di Andrés Felipe Solano – Sur – traduzione Giulia Zavagna

“Fa un altro tiro prima di ripassarmi la sigaretta con il filtro leggermente ovale per la pressione delle sue labbra e poi, divertita, canticchia fumando espero al hombre a quien yo quiero, tras los cristales de allegre ventanales ed è in quel preciso momento, in questo esatto momento e non in un altro, che ho cominciato a scrivere queste pagine che ora scrivo.”


E queste pagine, quelle pagine, sono pregne di una donna dal nome Gloria. Una donna prima che una moglie e una madre. Una donna che ha la New York degli anni Settanta alle spalle, ma forse non proprio alle spalle, direi al suo fianco, protagonista quanto lei di quel giorno che è al centro della narrazione di Andrés Felipe Solano e della storia di sua madre.


“Notando il mio sconcerto, mi ha spiegato: È la metro di New York…, un treno sotterraneo che percorre tutta la città. Immaginavo un serpente di metallo che divorava montagne di terra e roccia. Mi faceva paura. E lei? Lei è svanita per qualche secondo, ha smesso di essere lì con me, in quella casa di Bogotà…”


E Gloria noi la conosciamo seduta al tavolino di un bar, mentre Solano la immagina desiderare una sigaretta, lei che non fuma, per ammazzare il tempo nell’attesa del fidanzato in ritardo, il Tigre


“All’epoca l’amore è questo, un gioco interminabile che consiste nel saper stare in equilibrio sull’orlo di un precipizio. Non sa ancora se le piace, dev’essere faticosissimo mantenere la concentrazione per così tanto tempo. Promette di darsi una risposta più tardi…”


preoccupata che quel ritardo rischi di farle perdere il concerto che attende da sempre: il concerto del cantante argentino Sandro al Madison Square Garden.

Solano, attraverso il racconto di sua madre, ci racconta una comunità latinoamericana, che a New York è emigrata, lavora e ha la speranza, il sogno di farcela

“Era un capannone simile a un anfiteatro sportivo, attraversato da travi in ferro, luci bianche appese al soffitto e centinaia di macchinari ordinati in file. Il suo era un angolo attaccato a una parete, non molto lontano dal bagno. Prima di accenderlo passava sempre un dito sul suo nome ricamato in rosso sulla tela spessa del camice: Gloria. Un voto di fiducia, una nuova superstizione acquisita da poco per assicurasi che l’apparecchio funzionasse senza problemi. Era meglio che affidarsi alla Vergine di Guadalupe, alla Vergine della Carità del Cobre o a Nostra Signora di Lujan, come facevano in genere le operaie latinoamericane. Le altre non ne avevano bisogno.”

 

Ma lo fa senza mai perdere di vista quella donna, Gloria. Senza mai dimenticarsi che è lei la regina della scena, lo sono la sua vita, i suoi ricordi. Quei dettagli che forse arrivano da una narrazione o forse no, ma che a noi lettori regalano un’immagine di dolcezza e tenerezza infinita


“… così se lo immaginava Gloria sul pianerottolo, prima che aprisse la porta dell’appartamento, sentendosi triste per lui. È arrivata alla conclusione che la gente non è capace di essere triste, così li aiuta lei. Tristezza per interposta persona: è la sua specialità.”


Restituendoci una narrazione originale e fresca, avvolta in una buona, molto buona scrittura. (merito anche della perfetta traduzione di Giulia Zavagna, ovviamente)

E tu lettore chiudi il libro sentendo di aver invaso un’intimità, quella tra madre e figlio: un dialogo privato. Perchè la sensazione è che questa narrazione Solano non la stia facendo a te, lettore, ma solo e soltanto a Gloria


“Mi hanno chiesto cosa facevo, dove vivevo, se ero in viaggio, e dopo qualche secondo a me non è venuto in mente altro che rispondere, mezzo ubriaco, magrissimo e con poche ore di sonno, ma senza un briciolo di esitazione, che ero arrivato a New York sei mesi prima in cerca di mia madre e che alla fine l’avevo trovata. Forse è stato in quel momento, a quel tavolo, che ho cominciato a scrivere queste pagine che ora scrivo”