Mattia Grigolo – Fandango
“C’è una nebbia arrogante, pare ghignare. Si è ingoiata la minuscola chiesa con tutto il campanile e mastica la piazza davanti. L’insegna dell’unico bar del paese ancora aperto arde di rosso sfocato, sputata fuori dalla sera fredda e insieme umida. All’interno, tre uomini guardano una partita di calcio. Non parlano, seduti divisi a tavoli distanti. Un bicchiere di rosso davanti, posaceneri pieni e mani graffiate.”
Ci sono due piani temporali nel romanzo di Mattia Grigolo: il presente datato 2019 e il passato datato 1995 e ci sono due generazioni i padri Toni, Sander e Marione e i figli Brando, Sara e Lancher e poi c’è la costante del paese. Un paese della bassa Padana che, con tutte le sue comparse, è protagonista forse ancora più degli stessi protagonisti
“Sono come orti, questi paesini, gemme diverse, crescono come millefiori.”Il sindaco, la perpetua, la zitella, la squadra di calcio e quella di pallavolo, il bar, lo spacciatore e il drogato, i vandali, i debosciati, i bulli, le compagnie, le fidanzate, le mogli degli altri, l’oratorio, i parcheggi e le panchine, l’osteria, i rioni, l’alimentari, la farmacista, il barbiere, la messa, il messo, la biblioteca, la camporella, il parroco, il matto, la gente che parla, la gente che non può nascondersi mai, la gente che muore e quella che nasce, la gente che resta, la gente che scappa. La gente alla buona.”
E poi c’è la notte di Natale, quella del 1995 dove qualcosa di grave è successo, qualcosa che ha portato via un ragazzino, il quarto componente del gruppo: perché se prima c’erano Brando, Sara, Lancher e Mighè, dopo Mighè non ci sarà più e non sarà l’unico a non andare oltre a quella notte. E c’è la notte del 25 dicembre del 2019, che come il 25 dicembre di ogni anno, da più di vent’anni, è una notte che non può più essere solo la notte di Natale.
“siamo rimasti tutti a quella notte lì”
Con Gente alla buona Grigolo ci regala un romanzo duro, un romanzo di buona scrittura e di forti emozioni. Ci fa entrare nel torbido, nel tragico, svelandoci a poco a poco ciò che non vorremo conoscere; ciò che, se fossimo al cinema, ci farebbe portare le mani sugli occhi per poi, sbirciare tra un dito e l’altro, perché è inevitabile voler capire cosa ha minato il futuro di quei ragazzi, dei loro genitori e, in fondo, di un paese tutto.
“I brutti ricordi […] Sono lì che aspettano di tornare quando si è più vulnerabili. E si è sempre fragili davanti al male. Le cose cattive sono più determinate delle cose buone.”
Un romanzo che ha i toni grigi della nebbia e rossi del vino bevuto all’osteria. Un romanzo dove il senso di colpa attraversa ogni pagina
“Il nostro segreto. Pure ora che tutto è finito, che quello che è stato è stato, il nostro segreto è ancora lì a mangiarci come una malattia. Questo è. Che poi, cosa è finito? Io i sensi di colpa ce li ho ancora, gli incubi li faccio più di prima. Ce l’ho qui addosso che alla notte, quando me ne vado a dormire, lo vedo spalmato sul soffitto insieme alle ombre.”
Un romanzo che ci racconta una provincia rurale, dove gli abitanti si conoscono tutti e poco conoscono di cosa c’è oltre la piazza del paese
“Siamo in un posto piccolo, padre, il paese è una stanza. Molti di noi non conoscono altro che queste strade e questi campi.”
Un romanzo feroce e violento, che ci parla di quei legami che uniscono una piccola comunità, di segreti e di confessioni. Dell’amicizia di tre ragazzi legata per sempre a quella notte di Natale e, nello stesso tempo, da quella notte minata: perché quei tre ragazzi non potranno più guardarsi negli occhi senza ripensare alla tragica fine di Mighè. Consapevoli che quel 25 dicembre ha tolto loro, non solo un amico, ma anche la giovinezza, la spensieratezza, la possibilità di un futuro diverso.
“Alla fine, quello che penso è che il mio problema è che la ruota siamo noi. Quello che facciamo si prende quello che diventiamo, che si prende quello che costruiamo, le cose che mettiamo nel mondo. […]possiamo infilarci negli armadi per non vedere e non sapere e dimenticare, e non poi fare altro che sperare di non avere troppa paura, possiamo pure portarci dentro tutto e lasciare passare gli anni e vedere che sei sempre più lontano e magari sei lì che speri che alla fine il dolore si rimpicciolisce oppure ti ammazza una volte per tutte che magari allora la colpa non la senti più.”

