Fuga verso l’alto

Annemarie Schwarzenbach – Il Saggiatore

“Francis voltò la schiena alla città guardando a monte. Il fiume si assottigliava, scorrendo come un nastro argenteo nella valle sempre più stretta, e infine sembrava una mulattiera che sale serpeggiando verso il passo e si addentra nel cuore delle montagne.
In cielo le nubi sospese erano bianche come le cime innevate. Lassù, pensava Francis, lassù è la fine del mondo, lassù c’è il passaggio, lassù regnano la lotta e il silenzio, là può andare chiunque si sia smarrito e non abbia trovato una guida.”

Questo romanzo mi è capitato tra le mani mentre cercavo un libro che avesse la montagna come sfondo invadente, come co-protagonista se non proprio primadonna della storia. Un libro che rispondesse alla domanda: Vorrei un libro che parli di montagna.

Fuga verso l’alto mi ha attirata in quanto romanzo che vede la montagna come rifugio dal rumore, dal resto del mondo, dal cammino del nazismo e l’arrivo della guerra: Annemarie Schwarzenback, fotografa e reporter prima che romanziera, lo termina di scrivere nel 1933, esattamente il giorno in cui a Berlino i libri vengono bruciati (questo ce lo racconta Melania G. Mazzucco nella prefazione al romanzo), e questo me lo ha reso ancora più affascinante: una sorta di fenice che nasce dalle ceneri.

“Divenne semplicemente silenzioso in mezzo alla frenesia generale. E come lui, molti altri divennero silenziosi; attendevano, accontentandosi di poco, scettici nei confronti della morale vacillante della storia.”

Fuga verso l’alto è un romanzo che si svolge per la maggior parte in una stazione sciistica austriaca, dove alcuni personaggi si ritrovano a passare il tempo insieme; chi perché ci lavora, chi perché è malata e ha bisogno di aria e riposo, chi perché è in vacanza dalla scuola, chi come Francis (il nostro protagonista, figlio di un proprietario terriero decaduto) perché rifugiato in una vacanza senza data di scadenza, lontano dalla città, lontano forse anche dalle sue responsabilità, alla ricerca di un punto di riferimento, spaesato. Immerso, ma in fondo immersi lo sono tutti, in una vita che si svolge uguale giorno dopo giorno, tra discese e salite con gli sci ai piedi.

“Credo ancora nella città? Ho creduto in Londra? Tutto ciò ha a che fare con la capacità di credere. Per quanto mi riguarda non credo all’importanza delle cose che vuoi perseguite con tanto zelo. Per quanto mi riguarda, perché è di me che devo rispondere. Forse mi sbaglio. Forse un giorno sarò punito per essermi voluto sottrarre. No, nessun equivoco: credo all’importanza delle piccole cose, delle piccole funzioni quotidiane.”


È la contrapposizione tra città e montagna che emerge dalle pagine di Schwarzenbach, a sottolineare forse non solo un desiderio di fuga, ma anche l’allontanamento da un mondo politico che spaventa e preoccupa.


“Laggiù regnavano il rumore, la frenesia, le potenze umane scatenate le une contro le altre. Qui si era in un’altra sfera, l’essere umano veniva accolto, viveva tranquillo, dormiva, si risvegliava e talvolta diceva a se stesso: credo nel potere della grazia.”


Come emerge l’occhio della fotografa che sa cogliere il dettaglio e raccontarlo anche a parole. L’occhio che quella montagna e i suoi pendii bianchi riesce a farceli vedere, quasi annusare.

Poi, certo, c’è una trama fatta di incontri, di amori e tradimenti, di balli e chiacchiere davanti a un bicchiere, di gare di scii e di delusioni anche, di una tragedia, anzi due, di differenze sociali. Ma il punto di forza di questo romanzo è tutto nel come Schwarzenbach ha reso quei momenti che paiono sospesi verso un’attesa, verso una decisione, verso ciò che la Storia porterà. Quei momenti circondati dal bianco e dalla fatica di lunghe giornate di sci, nell’illusione, forse, di poter dimenticare o prendere le distante da ciò che “laggiù” stava iniziando a succedere.


“Si poteva confessare il proprio terribile spaesamento, la solitudine e le incertezze soltanto al proprio lato oscuro, soltanto al fratello, soltanto di notte, e bisognava rassegnarsi, di giorno, ottusamente, a tutto questo con un’allegria ostentata?”