E dal cielo caddero tre mele

Narine Abgarjan – Brioschi editore – traduzione Claudia Zonghetti

“…l’estate dispiegava la sua notte nera e senza fondo, capace di raccontare storie di forza d’animo, dedizione e generosità, storie sulla vita che è fatta di cerchi che le gocce di pioggia lasciano sull’acqua, storie in cui ogni episodio è il riverbero di quanto è già stato ma nessuno è riuscito a capire, se non qualche eletto vissuto tanto e tanto tempo fa e che in questo mondo non farà ritorno perché ha già bevuto il calice fino alla feccia.”

E dal cielo caddero tre mele entra di diritto tra quelli che io definisco libri carezza; lo fa nonostante la storia sia attraversata dal terremoto, dalla carestia, dalla guerra, da lutti e da violenza, dal dolore. Lo fa nonostante il romanzo si apra con Anatolija che perde sangue e si prepara a morire

“La morte non è uguale per tutti: a qualcuno ferma il cuore, di qualcun altro si fa beffe privandolo della ragione. A lei era toccato di morire dissanguata. Anatolija non aveva il minimo dubbio che il suo male fosse inesorabile e senza rimedio. Non per nulla l’aveva trafitta nella parte più inutile e insulsa del suo corpo, l’utero. Ti punisco, pareva dirle, perché hai mancato al tuo principale dovere di donna: mettere al mondo dei figli.”

ma, per lei, la morte si farà attendere…

E dal cielo caddero tre mele ci racconta un piccolo paese armeno, Maran, un paese arrampicato su un monte, lontano da quella valle dove la vita sarebbe più semplice, dove ci si reca per studiare (chi può farlo) o per andarsene.

Un paese che ora è popolato solo da una manciata di anziani e dalle loro storie che attraversano il tempo e la realtà. Storie impregnate da realismo magico, dove i fantasmi tornano e parlano con i vivi, dove leggende e maledizioni fanno parte della vita di ogni giorno

“E nemmeno permetteva che li tagliasse alle figlie, i capelli. Così lunghi servivano a proteggerle dalla maledizione che incombeva su di loro da dodici anni orami, dal giorno in cui aveva sposato Sevojants Kapiton.”

dove c’è un pavone bianco (ma il suo ruolo lo scoprirete solo leggendo) e, soprattutto, dove le persone sanno rispettarsi e proteggersi, condividere e aiutarsi

“In paese erano tanti libri aperti, tutti sapevano tutto di tutti: dolori, offese, malattie e anche qualche sporadica, ma attesissima gioia. Se si interessavano gli uni degli altri, però, era per affetto, per buon vicinato niente più.”

La storia di E dal cielo caddero tre mele è complessa da raccontare, ma dolcissima da leggere: narrazioni che si intersecano, vite che si completano nelle vite degli altri. E un personaggio meraviglioso come quello di Anatoljia: una donna fiera che, reduce da un matrimonio sbagliato e violento, non vorrà più cedere alla convivenza.

“L’unico rifugio in quella sua vita buia diventò leggere”

Ma forse sarebbe meglio dire non vorrebbe, perché sarà proprio lei la protagonista di una storia d’amore talmente delicata da commuovere

“Pranzarono in pace e serenità. Parlarono poco, e solo di cose di poco conto, ma era talmente familiare, talmente semplice e lieve quel tintinnare di cucchiai, quel chiedere di passare il sale, di tagliare un pezzo di formaggio o di pane duro, di versare un sorso d’acqua, che per la prima volta Anatolija sentì che la vita era un dono e non qualcosa che accadeva e basta.”

Mi rendo conto di aver raccontato poco della storia, ma credo sia giusto così, perché questo è un libro che merita di essere scoperto dal suo lettore, pagina dopo pagina, personaggio dopo personaggio. Come merita di essere scoperta e assaporata la delicatezza e la grazia della scrittura di Narine Abgarijan (nella traduzione della sempre brava Claudia Zonghetti), che asseconda la morbidezza di questo romanzo, rendendolo (come detto all’inizio di questa mia chiacchierata) un libro carezza.

“A Maran nessuno osava cullare la speranza di vedere giorni migliori. Il paese si limitava a vivere mestamente, come una condanna, il tempo che restava, e Anatolija con lui. Fuori dalla finestra la notte del sud era ormai sovrana, accarezzava il davanzale con i raggi timidi della luna e raccontava i sogni del mondo con lo stridio dolce dei grilli. Sdraiata fra i cuscini, con stretto al petto l’album delle fotografie dei suoi cari, Anatolija piangeva.”