Georges Simenon – Adelphi – traduzione Simona Mambrini
«Lo uccidero!».
Uccidere! Con l’incoerenza di un bambino che ha subito una crudele delusione, ripeteva le stesse due parole sottovoce, a denti stretti:
«Lo ucciderò!».
Non era un progetto, e ancor meno una decisione. Non aveva nessuna voglia di farlo, ma dirlo gli dava sollievo.”
Élie è un giovane polacco che vive e studia a Liegi. Ha pochi soldi e nessuna nostalgia né del suo paese di origine, né della sua famiglia
“A Vilnius non aveva mai provato quella sensazione di pace e sicurezza. Il brulichio della gente nel suo quartiere, nel suo ambiente, aveva un carattere aspro e violento, a ogni passo si avvertiva la lotta per la sopravvivenza; i bambini, per strada, avevano già uno sguardo da vecchi e a cinque anni le bambine smettevano di giocare con le bambole. D’inverno, in quei lunghi inverni che duravano sei mesi e più, si vedevano ragazzini sguazzare a piedi nudi nella neve, e a casa sua capitava che tra fratelli si litigasse per un paio di stivali.”
Passa le sue giornate tra la biblioteca dell’università e la casa della signora Lange, dove ha affittato una stanza senza riscaldamento, perché non si può permettere di pagarlo; così ogni giorno si siede nella cucina della signora Lange con i libri davanti, il fuoco da rinvigorire e la minestra da controllare. Non ha amici, non ha vita sociale, ogni giorno mangia le stesse cose e compie, più o meno, gli stessi gesti.
“Che cos’aveva sperato, senza mai formularlo chiaramente? Non aveva intenzione, una volta terminati gli studi, di tornare al suo paese. E non aveva neppure voglia di andarsene altrove.
Come un bambino pensa che non lascerà mai i genitori, a lui sembrava normale restare in quella casa vita natural durante, dove la signora Lange avrebbe continuato a seguire la solita routine e Louise a fornirgli la sua presenza.”
La signora Lange ha anche una figlia, ma non si può dire che Élie di lei si invaghisca, semplicemente le piace vederla lì. Le piace pensare che ci sarà anche nel suo futuro
Un giorno la routine della casa viene rotta dall’arrivo di un nuovo ospite: un rumeno di nome Michel.
Arriva da una famiglia benestante lui, e a lui viene assegnata la camera migliore della pensione, il riscaldamento e il pranzo e la cena serviti in salotto. E Michel si prende anche Louise…
Élie decide di voler punire questo delitto, decide che deve uccidere Michel.
E qua io mi fermo, a differenza di quanto scritto nella quarta di copertina del libro (che avrei preferito non leggere fino in fondo o, almeno, non farlo prima di aver finito di leggere il romanzo), perché ovviamente Simenon non ci risparmia il suo colpo di scena, anzi direi più di uno.
Potrebbe sembrare una storia di vendetta quella raccontata in Delitto impunito, ma Élie non è un personaggio così “bello” da agire per vendetta, Élie pensa solo a proteggere se stesso, a salvare quel rifugio che si è trovato,
“… lui aveva bisogno del suo angolino.
Forse, per quanto potesse sembrare ridicolo, era il motivo di tutto quel che era successo.”
e questo sarà uno schema che tenderà a ripetere.
Il nostro Georges ci regala le sue ambientazioni e i suoi dettagli, il suo costruire passo passo, con lentezza, ciò che succederà, il suo riuscire a stupirci sempre. I suoi personaggi che, in qualche modo, sono sempre ai margini, perdenti, assolutamente non eroi; a Élie il lettore non potrà di certo affezionarsi (ma forse a nessuno dei personaggi che compaiono nel libro), e questo ovviamente è voluto, dato che Simenon lo abbruttisce sempre di più, anche fisicamente.
Insomma Simenon è sempre Simenon, ma questo, pur essendo davvero un buon romanzo (ma quando si sceglie in libreria un romanzo di questo autore si vuole giocare facile), non è entrato tra i miei Simenon del cuore.

