Eduerna Portela – Voland – traduzione Giulia Di Filippo
“Sono sempre stato capace di vedere cosa c’è dietro gli occhi. Fin da bambino, quando è cominciato a capitarmi di chiudere gli occhi per molto tempo, ho visto più di quanto abbiano fatto le altre persone. Vedo perfino cosa c’è dietro gli occhi dei morti”
Un paesino basco abitato ormai solo da un pugno di anziani, perché chi se ne è andato da quel paese non è più tornato
“Se qualcuno se ne va può anche decidere di non tornare, può perdersi nella città e cominciare una nuova vita senza legami né lamenti né l’obbligo di prendersi cura di chi ci si è lasciato alle spalle, o può scegliere di andare molto lontano, superare i confini di quel paese piccolo e soffocante e scoprire il mondo, senza mai voltarsi indietro, per non correre il rischio di diventare una statua di sale”
un paesino basco che ha vissuto la guerra civile e ha visto quella guerra portare via uomini: fuggiti, nascosti, ammazzati.
Un bambino, Pedro, che ha visto giustiziare la madre e il padre, che ha dovuto chiudere gli occhi, ma che dietro a quegli occhi continua a vedere, a sognare, a essere perseguitato da incubi
“Per questo in paese tutti abbiamo gli incubi, anche Andresito. È una specie di male, che entra nelle case da sotto gli usci e finisce per dominare i nostri sogni. E il giorno dopo usciamo allucinati, con la paura dell’incubo ancora negli occhi, con addosso quelle cose terribili che viviamo mentre dormiamo. E ci incontriamo per strada ed è come se fossimo morti viventi, non ci salutiamo, non ci diciamo cosa abbiamo sognato per la vergogna di riconoscere davanti agli altri gli orrori che ci portiamo dentro, ma sappiamo perfettamente che gli altri sono come noi, altrettanto spaventati, altrettanto imbarazzati, altrettanto impauriti”
Un bambino che oggi è un anziano e che vede arrivare in paese una giovane coppia che viene dalla città,
“e poi lei, lui no, lui mai, lei mi fa ciao con la manina e si girano e accelerano il passo e scompaiono dietro l’istituto”
e lei, non lui, riapre un passaggio sul passato e riapre quei ricordi, quell’irrisolto, quei segreti. Ciò che è successo e che nessuno sa. Perché quella donna Ariadna, un legame con quel luogo ce l’ha, e Pedro lo sa…
“La terra ha perso gli occhi nella notte, la terra cieca, questo mi dice il libro e mi parla di una terra lontana, ma è come se parlasse di questa terra, anche questa ha perso gli occhi, non ricorda più cos’ha visto. Questa terra è cieca e muta, custodisce tutti i suoi segreti. Non racconta ciò che sa. Non l’ha mai raccontato. Né in inverno né in primavera né mai”
Edurne Portela ci racconta un luogo avvolto nella nebbia, quella tangibile e quella che la memoria tende a stendere sul passato.
“In un momento di lucidità, suo padre le disse che fuggire non sarebbe servito a niente, avrebbe solo posticipato i problemi. Anche se te lo lasci alle spalle, il passato continua a inseguirti, e può raggiungerti perfino settant’anni dopo”
Ci racconta senza svelarci troppo, portandoci all’interno di un paese circondato dai boschi e dalla nebbia appunto, portandoci passo a passo a quell’epilogo che si annuncia già nell’incipit (uno splendido incipit capace di trascinarti all’istante all’interno del romanzo), dove gli sguardi tra Pedro e Ariadna sembrano quelli di due duellanti, di due avversari destinati alla sfida finale. Dove un secchio abbandonato e un libro accarezzato riescono a essere poesia.
Portela ha una grande stima del lettore e concede lui la capacità di capire anche il non detto, di interpretare le poche parole e i sogni, i ricordi offuscati. Di andare oltre il racconto dei fatti. Ed è questo, secondo me, il vero punto di forza di Con gli occhi chiusi. Insieme a una scrittura potente e delicata al tempo stesso: una scrittura che riesce ad assumere toni più morbidi quando si allontana dal presente per raccontarci o farci raccontare il passato, pur mantenendo la cupezza e la malinconia, l’orrore anche.
Un romanzo doloroso che, alternando il passato al presente, riesce anche a lasciare spazio a sentimenti come l’amicizia e la solidarietà, l’amore forse, il perdono.

