Silvina Ocampo e Adolfo Bioy Casares – SUR – traduzione Francesca Lazzarato
“Come in quei ricordi di viaggio che si cancellano dalla memoria e che poi ritroviamo nell’album di fotografie, mentre allentavo le cinghie della valigia rividi – per la prima volta? – le immagini del mio arrivo in albergo. L’edificio, bianco e moderno, mi era parso piantato nella sabbia in modo pittoresco: come una nave sul mare, o un’oasi nel deserto. L’assenza di alberi era compensata da alcune chiazze verdi capricciosamente distribuite – denti di leone, che sembravano avanzare come un rettile multiplo, e fruscianti tamerici. Sullo sfondo c’erano due o tre case e qualche capanna.”
Probabilmente possiamo definire Chi ama, odia un giallo, uno di quelli tanto amati da Agatha Christie: un giallo della camera chiusa dove gli indizi che hanno a disposizione gli investigatori sono gli stessi che ha a disposizione il lettore.
Un gruppo di persone resta “imprigionata” in un albergo, mentre fuori imperversa una tempesta di sabbia e una di loro, dato che si tratta di un giallo, sarà destinata a morire, a essere ammazzata. Tutti gli ospiti dell’albergo saranno sospettati, il colpevole deve essere uno di loro.
Ma il giallo e le indagini in questo romanzo non sono, a mio avviso, il punto principale, non sono il motivo che deve spingere un lettore alla lettura. Qua il vero piacere della lettura arriva dalla lingua, dall’umorismo e da alcuni dei personaggi, primo tra tutti il medico omeopatico Humberto Huberman , un personaggio sopra alle righe, che dovrà sacrificare la sua vacanza di relax e scrittura
“Ciò che non avevo previsto, quando mi ero avvicinato agli ombrelloni, era che i loro occupanti parlassero. Parlavano senza alcun riguardo per la bellezza del pomeriggio, né per lo stanco vicino che tentava invano di astrarsi per mezzo della lettura. Le voci, fino ad allora confuse con il coro del mare e il grido dei gabbiani, si fecero più chiare, salendo sgradevolmente di tono. Tra quelle femminili, mi sembrò di riconoscerne almeno una.”
facendosi coinvolgere nelle indagini e anche (un poco) dal fascino di un paio di villeggianti. Humberto è un intellettuale, un uomo che ha una grande stima di sé, che sa usare la lingua e la letteratura. Il romanzo è scritto tutto in prima persona, tutto passa tutto attraverso il suo sguardo, quasi in dialogo con i lettori; quindi anche la lingua scelta dalla coppia Silvina Ocampo e Adolfo Bioy Casares è la lingua del loro protagonista: aulica, a tratti saccente, intrisa di citazioni e di riferimenti letterari
“… Cecilio Montes era di media statura e di corporatura esile. Aveva i capelli scuri e ondulati, gli occhi grandi, la carnagione bianchissima, pallidissima, il viso affilato e il naso dritto. Indossava un abito da cacciatore molto ben tagliato, in uno cheviot verdognolo, che era stato di ottima qualità. La camicia, di seta, era sporca. Le caratteristiche generali del suo aspetto erano la sciatteria, la negligenza, la rovina – una rovina che lasciava intuire trascorsi splendori. Mi domandai come un personaggio del genere, uscito da un romanzo russo, fosse capitato nella nostra campagna; scovai inattese analogie tra le zone rurali argentine e quelle russe, e tra le anime della loro gente; immaginai l’arrivo del giovane medico a Salinas, la sua fede nelle nobili cause e nella civiltà, e il progressivo abbruttimento fra la meschinità e la miseria proprie della vita di paese.”
Non amo i gialli, ma questo breve romanzo, al quale sono arrivata attraverso i consigli di Giulia Zavagna in merito alla campagna di promozione Sur, è un piccolo gioiellino ed è stata una piacevole sorpresa che consiglio non tanto agli amanti del giallo in sé, ma a chi vuole cimentarsi in un romanzo dove la scrittura è essa stessa protagonista, un vero e proprio esercizio di stile. A chi cerca una lettura capace anche di far sorridere con intelligenza.

